Arnolfo di Cambio
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Arnolfo di Cambio noto anche come Arnolfo di Lapo (Colle di Val d'Elsa, circa 1240 – 1302[1]) è stato uno scultore e architetto italiano di epoca medioevale.
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[modifica] Biografia
Sulla famiglia e sulle origini di Arnolfo ben poche notizie certe sono giunte fino a noi, sembra, comunque, figlio di Messer Lapo, notaio a Colle di Val d'Elsa.
Arnolfo di Cambio si formò nella taglia (bottega) di Nicola Pisano e con lui lavorò al pulpito del Duomo di Siena (1265-1269). all'Arca di San Domenico nella chiesa di San Domenico a Bologna e per un certo periodo forse anche alla Fontana Maggiore a Perugia.
Dopo aver lasciato la bottega nel 1276 o 1277 si trasferì a Roma dove fu al seguito di Carlo I d'Angiò. Di questi anni sono probabilmente il monumento funebre del nipote del cardinale Annibaldi Riccardo Annibaldi (stesso nome del cardinale, 1290 circa, conservato presso San Giovanni in Laterano, Roma)in sole 2 pezzi e il monumento a Carlo I d'Angiò (1277, oggi presso il Palazzo dei Conservatori, Roma). Di questo periodo è anche la scomparsa Fontana Minore di Perugia.
Nel 1282 lo troviamo autore del monumento funebre del cardinale De Braye, morto in quell'anno, nella chiesa di San Domenico a Orvieto.
A Roma l'artista era stato a contatto delle grandi opere del passato romano, e aveva assorbito le lezioni dei maestri cosmateschi, di cui riutilizzerà i partiti decorativi a intarsi di marmi colorati e vetri dorati nei ciborî della basilica di San Paolo fuori le mura (1285) e di Santa Cecilia in Trastevere (1293). In questo periodo lavorò a Roma anche al presepe di Santa Maria Maggiore (Roma), alla chiesa di Santa Maria in Aracoeli, al monumento a papa Bonifacio VIII (1300) e alla statua bronzea di San Pietro della Basilica di San Pietro.
Arnolfo di Cambio senza volerlo aveva ideato la prima rappresentazione della natività, scolpendo, nel 1283, otto statuette che rappresentavano i personaggi della natività ed i Magi. Le sculture del primo presepe della storia, inizialmente inserite nel monumento a Bonifacio VIII, nella Cripta della Cappella Sistina, si trovano (quello che ne è rimasto) a Roma, nella Basilica di Santa Maria Maggiore.
Nel biennio 1294-1295 fu a Firenze, dove svolse probabilmente la sua attività essenzialmente come architetto. Giorgio Vasari gli attribuì anche il progetto urbanistico della città di nuova fondazione di San Giovanni Valdarno.
A Colle di Val d'Elsa, sua città natale, non ha lasciato segni della sua arte, se si eccettuano i ponti di Spugna e di San Marziale, ormai scomparsi.
[modifica] Scultore
La presenza alla corte di Carlo d'Angiò, sovrano di origine francese, spiega in un certo senso l'allontanamento precoce di Arnolfo dai modi improntati ad una sintesi tra classicità e gotico di Nicola Pisano e di suo figlio Giovanni (membro al pari di Arnolfo nella bottega paterna): egli probabilmente venne avvicinato al gusto allora dominante la scuola francese, caratterizzato da raffigurazioni più lineari, astratte ed aristocratiche, rispetto all'insuperato culmine di sintesi naturalistica e monumentalità raggiunta prima del 1250. Le sculture di Arnolfo furono quindi caratterizzate da un maggior senso della linea (piuttosto che del volume) e da una rappresentazione irrequieta.
La valutazione della sua opera scultorea nel complesso è molto difficile per la perdita o lo stato frammentario di varie opere.
Tra le prime opere indipendenti sono il Ritratto di Carlo d'Angiò (1277) e il Monumento sepolcrale del cardinale De Braye (1282 circa, chiesa di San Domenico di Orvieto). Entrambe le opere sono molto significative.
[modifica] Ritratto di Carlo d'Angiò
Verso il 1277 Arnolfo scolpì anche il Ritratto di Carlo I d'Angiò, una statua in marmo alta circa 160 cm oggi conservata ai Musei Capitolini di Roma. L'opera era anticamente collocata nella chiesa di Santa Maria in Aracoeli a Roma.
Il sovrano è raffigurato seduto, su un trono con protomi leonini, con in mano i simboli regali ben in vista (corona e scettro), in un atteggiamento di meastosa dignità, ma anche di realistica fisicità.
L'opera è importante perché dopo gli pseudo-ritratti di Federico II risalenti alla prima metà del XIII secolo e dopo i primi ritratti per monumenti funebri (come quello di quello di papa Clemente IV di Pietro di Oderisio conservato nella chiesa di San Francesco di Viterbo), Arnolfo fu il primo in Europa a scolpire un ritratto realistico di un personaggio vivente. Particolarmnete notevole è il volto, dove si concentrarono gli sforzi dello sculture per rendere il ritratto solenne ma anche verosimile, rappresentando dettagli fisici quali i solchi del viso.
[modifica] Mausoleo del cardinale De Braye
Il Mausoleo del cardinale De Braye fa parte di un complesso architettonico oggi molto trasformato, che inaugurò una tipologia sepolcrale usata in seguito fino al Rinascimento. La nuova caratteristica è dovuta al fatto che il catafalco si trova accostato alla parete ed è sormontato da un baldacchino scostato da due accoliti. Anticamente era coronato da una cuspide sostenuta da colonne tortili e decorata da pinnacoli, che conteneva i tre gruppi statuari minori ancora presenti (la Madonna col bambino e i Santi Marco e Domenico), a loro volta un tempo ospitati sotto una cuspide, secondo un ritmo acsensionale che simboleggiava l'elevazione dell'anima verso il paradiso.
Particolarmente notevole è il realismo con il quale è scolpito il volto del cardinale morto, tanto far credere che Arnolfo si sia basato su maschera funebre modellata direttamente sul volto. Si era ipotizzato che la posa solenne della Vergine sia derivata da un modello antico di una Giunone o Serapide: in effetti durante un recente restauro si è scoperto che si trattava di una scultura antica originale integrata con parti nuove.
Si può anche notare già in questa opera come Arnolfo preferisse composizioni essenziali, con poche statue di grandi dimensioni nei punti focali e un netto stacco tra luce ed ombra derivato dalla relativa semplicità della cornice architettonica.
[modifica] Monumento funebre di Bonifacio VIII
La struttura del monumento addossato ad una parete venne ripresa pochi anni dopo da Arnolfo per il Monumento funebre di Bonifacio VIII, del 1300 circa. Un tempo il mausoleo era addossato alla controfacciata dell'antica basilica di San Pietro in Vaticano con un altare per dire la messa, mentre oggi è collocata nelle Grotte Vaticane.
[modifica] Ciborio di San Paolo fuori le mura
Realizzazioni sia architettoniche che scultoree sono i cibori, edicole atte a coronare l'altare di una basilica, dei quali ce ne sono pervenuti due di mano di Arnolfo. Il più antico è il ciborio di San Paolo fuori le mura, risalente al 1285 e scolpito con marmo e porfido. Fu una delle poche cose che scampò al disastroso incendio di San Paolo fuori del Mura del 1823.
Questa realizzazione è in stretta connessione con i coevi risultati del gotico francese, in particolare parigino poiché simile a un analogo monumento nella Sainte-Chapelle realizzato circa quindici anni prima.
tutta la struttura verte verso una decisa ascesa verticale, con gli archi acuti trilobati sostenuti da slòanciate colonnine in porfido, sormonate, oltre una cornice marcapiano, da cupidi e aguzzi pinnacoli sui quattro angoli. Al centro si eleva infine una ripida torretta con copertura a punta.
Negli angoli sono inserite figure quasi a tutto tondo degli Evangelisti. La forma del ciborio era stremamente moderna e ripresa varie volte da Giotto, come sfondo architettonico per le scene dei suoi affreschi.
[modifica] Ciborio di Santa Cecilia in Trastevere
Il successivo ciborio di Santa Cecilia in Trastevere risale al 1293 ed è pure in marmi policromi. Vi sono notevoli differenze con quello precedente, innanzitutto per la diversa proporzione tra linee verticali e orizzontali, che in questo caso propendende decisamente per le seconde. Gli archi trilobati infatti hanno una luce più ampia a parità (più o meno) di altezza. I timpani risultano così ribassati e lo slancio attenuato. Inoltre alla rigida frontalità degli elementi Arnolfo contrappose una visione più movimentata, ruotando i pinnacoli di 45 gradi.
La svolta dovette essere causata dalla riflessione dell'artista sulle opere di Roma antica e non fu un caso che su uno degli angoli collocò una figura equestre ispirata al famoso Marco Aurelio.
Delle sculture per la facciata di Santa Maria del Fiore si parla nel capitolo successivo dedicato all'architettura dove è trattata la chiesa.
[modifica] Architetto
Se la sua opera di scultore è accertata e abbastanza ben documentata, più incerta è invece la sua opera di architetto.
L'unico documento che abbiamo è un pagamento ad Arnolfo «che sta costruendo la chiesa più bella e grande di tutta la Toscana» (è palese la rivalità con la città di Siena), cioè la cattedrale di Santa Maria del Fiore, mentre per quanto riguarda altre opere ci dobbiamo basare su Giorgio Vasari, che non è ritenuto completamente attendibile, anche perché scrisse due secoli e mezzo dopo.
Egli attribuisce ad Arnolfo la costruzione delle chiese di Santa Croce, Santa Maria Novella nonché del Palazzo della Signoria, in seguito detto Palazzo Vecchio. Mentre è quasi certo che Santa Maria Novella sia opera non di Arnolfo, bensì dei frati domenicani Sisto e Ristoro, autorevoli critici (come ad esempio Zeri, Giovanni Klaus Koenig, Carli), non esitano ad attribuire Santa Croce e il Palazzo della Signoria al maestro, anche se un'attribuzione sulla base dei soli caratteri stilistici (dal momento che non abbiamo documenti) è estremamente difficoltosa, poiché anche nell'unica opera in cui appare certo l'intervento di Arnolfo (cioè la cattedrale fiorentina) non è facile quantificare esattamente il suo contributo: si pensi ad esempio che l'articolazione interna di Santa Maria del Fiore fu decisa solo negli anni cinquanta del Trecento.
In linea di massima si indica per l'opera di Arnolfo architetto una caratteristica tipica della sua opera scultorea, cioè la sintesi tra spazialità antica e gli elementi architettonici del gotico.
La Basilica di Santa Croce venne iniziata nel 1294-1295 e terminata solo nel 1442 sebbene si contionuò a seguire il progetto iniziale. La pianta è simile alla chiesa di Santa Maria Novella, di circa una quindicina di anni più giovane, con una navata centrale particolarmente ampia (larga 20 metri e alta 34) segnata da alti pilastri che sostengono archi a sesto acuto. Una differenza sostanziale è data però dalla copertura tramite capriate invece delle volte a crociera, con arconi di sostegno nelle navate laterali. Anche qui, come a santa Maria Novella, si ha l'impressione di un'unica grande aula senza interruzzione tra le navate e la superficie piana delle alte pareti, dove si aprono ampie finestre in alto, convoglia lo sguardo del visitatore alle cappelle della testa del transetto (quest'ultime coperte da volte). L'effetto è quello di una spaziosa e luminosa basilica paleocristiana, sebbene creata con elementi tipicamente gotici.
Al 1296 risale invece l'inizio del cantiere di Santa Maria del Fiore, così avveniristico da prevedere quasi sicuramente fin da subito l'enorme cupola a coronamento della navata e delle absidi disposte "a trifoglio", anche se nessuno aveva idea di come costruirla (ci riuscì solo Filippo Brunelleschi nel 1418). La parte alla quale Arnolfo lavorò di più era comunqua la facciata, che venne inziata molto anticipatamente per esigenze di culto legate all'utilizzo provvisorio della vecchia chiesa di Santa Reparata che venne demolita solo in seguito. Purtroppo la facciata di Arnolfo venne demolita nel XVI secolo e mai più ripristinata fino alla faccaiata neomedivale del XIX secolo di Emilio De Fabris. Restano di quell'impresa alcuni disegni numerose statue e frammenti conservati nel Museo dell'Opera del Duomo di Firenze. Tra questi spicca la cosiddetta Madonna della Natività, che riprende la posa dei ritratti funerari dei sarcofagi etruschi. Poiché le figure per la facciata erano scolpite per essere fruite dal basso e con un punto di vista solamente frontale, il rilievo è molto schiacciato, ma Arnolfo seppe dare comunque l'illusione di plasticità, tanto che non ci si accorge della partricolarità
[modifica] Urbanista
Giorgio Vasari scrive di Arnolfo nelle sue Vite: «Volendo, in questo mentre, i Fiorentini murare in Valdarno di sopra il Castello di San Giovanni e Castel Franco, per commodo della città e delle vettovaglie, mediante i mercati; ne fece Arnolfo il disegno l'anno 1295, e sotisfece di maniera così in questa, come aveva fatto nelle altre cose, che fu fatto cittadino fiorentino.»
Vasari attribuisce quindi ad Arnolfo anche il progetto urbanistico della città di nuova fondazione di San Giovanni Valdarno, che si inserisce nel fenomeno delle cosiddette terrae novae, cioè la colonizzazione di nuove terre e la fondazione di nuove città da parte dei fiorentini (altri esempi sono Terranuova Bracciolini e, come citato, Castelfranco di Sopra).
[modifica] Opere scultoree
- Ritratto di Carlo I d'Angiò (1277)
- Presepe di Santa Maria Maggiore
- Mausoleo del cardinale De Braye (1282)
- Ciborio di San Paolo Fuori le Mura (1285)
- Ciborio di Santa Cecilia in Trastevere (1293)
- Monumento di Bonifacio VIII (1296-1300 circa)
- Statua bronzea di San Pietro (1300 circa)
- Sculture per la facciata di Santa Maria del Fiore (1300 circa)
[modifica] Mostre
- Arnolfo Urbanista, 18 ottobre-30 novembre 2003, Casa Masaccio, San Giovanni Valdarno e 6 dicembre 2003 - 14 marzo 2004, Palazzo d'Arnolfo o Palazzo Pretorio, San Giovanni Valdarno
- Fortune di Arnolfo, 13 dicembre 2003 - 14 marzo 2004, Casa Masaccio, San Giovanni Valdarno
- Arnolfo di Cambio: una rinascita nell'Umbria medievale, 7 luglio 2005 - 8 gennaio 2006, Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria, Orvieto, Chiesa di Sant'Agostino
- Arnolfo. Alle origini del Rinascimento fiorentino, Firenze, Museo dell'Opera del Duomo, 21 dicembre 2005 - 21 aprile 2006
[modifica] Altre immagini
[modifica] Note
- ^ La data di morte tradizionale fu fissata da Karl Frey che pubblicò tra il 1923 e il 1930 il carteggio di Giorgio Vasari il quale aveva scritto di Arnolfo ne Le Vite menzionandolo come Arnolfo di Lapo. Questa data, tuttavia, non è più considerata attendibile (come il patronimico "di Lapo" che sarebbe un'invenzione del Vasari) e la data di morte rimane incerta e collocabile tra il 1300 e il 1310 (Michele Tomasi, Lo stil novo del Gotico italiano in Medioevo (121), febbraio 2007, pp. 32-46).
[modifica] Bibliografia
- Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 1, Bompiani, Milano 1999.
[modifica] Collegamenti esterni
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