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Beatrice Cenci - Wikipedia

Beatrice Cenci

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Statua di Beatrice Cenci di Harriet Goodhue Hosmer, 1857
Statua di Beatrice Cenci di Harriet Goodhue Hosmer, 1857

Beatrice Cenci (Roma12 febbraio 1577 – Roma11 settembre 1599) è stata una nobildonna romana, giustiziata per parricidio e poi assurta al ruolo di eroina popolare.

Indice

[modifica] Biografia

Figlia [1] del conte Francesco Cenci, uomo violento e dissoluto, e di Ersilia Santacroce, dopo la morte della madre, fu messa a sette anni, nel giugno del 1584, insieme con la sorella maggiore Antonina, presso le monache francescane del Monastero di Santa Croce a Montecitorio [2]. Ritornata a quindici anni in famiglia vi trovò un ambiente quanto mai difficile e fu costretta a subire le angherie e le insidie del padre che, poco dopo, nel 1593, sposò, in seconde nozze, la vedova Lucrezia Petroni dalla quale non ebbe figli.

[modifica] L'esilio a Petrella

Francesco, oberato dai debiti, incarcerato e processato per delitti anche infamanti, condannato due volte per "colpe nefandissime" al versamento di somme rilevanti,[3] pur di non pagare la dote [4] di Beatrice, volle impedirle di sposarsi, e decise nel 1595 di segregarla, insieme con la matrigna Lucrezia, a Petrella Salto, in un piccolo castello del Cicolano, chiamato la Rocca, nel territorio del Regno di Napoli, di proprietà della famiglia Colonna. In quella forzata prigionia crebbe il risentimento di Beatrice verso il padre. La ragazza tentò anche, con la complicità dei domestici, di inviare lettere di aiuto ai familiari ed ai fratelli maggiori ma senza alcun risultato. Una delle lettere arrivò nelle mani del conte provocandone la dura reazione: Beatrice fu brutalmente percossa.

Nel 1597 Francesco, malato di rogna e di gotta, anche per fuggire alle richieste pressanti dei creditori, portando con sé i figli minori Bernardo e Paolo, si ritirò a Petrella e le condizioni di vita delle due donne divennero ancora peggiori.

[modifica] L'omicidio

Esasperata dalle violenze e dagli abusi paterni, Beatrice giunse alla decisione di organizzare l'omicidio di Francesco in concorso con la matrigna Lucrezia, i fratelli Giacomo e Bernardo, il castellano Olimpio Calvetti [5] ed il maniscalco Marzio da Fioran detto il Catalano.

Per due volte il tentativo fallì: la prima volta si cercò di sopprimerlo con il veleno, la seconda con una imboscata di briganti locali. La terza, stordito dall'oppio fornito da Giacomo e mescolato ad una bevanda, fu assalito nel sonno: Marzio gli spezzò le gambe con un matterello,[6] Olimpio lo finì colpendolo al cranio ed alla gola con un chiodo ed un martello. Per nascondere il delitto i congiurati tentarono di simulare una morte accidentale per caduta: fu aperto un foro nelle assi marce di un ballatoio tentando di infilarci il cadavere. La cosa non riuscì: il foro era troppo piccolo. Decisero allora di gettarlo dalla balaustra.

Il 9 settembre 1598 il corpo di Francesco fu trovato in un orto ai piedi della Rocca di Petrella. Dopo le esequie il conte fu sepolto in fretta nella locale chiesa di Santa Maria. I familiari, che non parteciparono alle cerimonie funebri, lasciarono il castello e tornarono a Roma nella dimora di famiglia, Palazzo Cenci, nei pressi del Ghetto.

[modifica] Le indagini

Inizialmente non furono svolte indagini ma voci e sospetti, alimentati dalla fama sinistra del conte e dagli odi che aveva suscitato nei suoi congiunti, indussero le autorità ad indagare sul reale svolgimento dei fatti.

Dopo le prime due inchieste, la prima voluta dal feudatario di Petrella il duca Marzio Colonna, la seconda ordinata dal viceré del Regno di Napoli Don Enrico di Gusman, conte di Olivares, lo stesso pontefice Clemente VIII volle intervenire nella vicenda.

La salma fu riesumata e le ferite furono attentamente esaminate da un medico e due chirurghi che esclusero la caduta come possibile causa delle lesioni. Fu anche interrogata una lavandaia: Beatrice le aveva chiesto di lavare lenzuola intrise di sangue dicendole che le macchie erano dovute alle sue mestruazioni ma la giustificazione, dichiarò la donna, non le sembrò verosimile. Insospettì gli inquirenti, inoltre, l'assenza di sangue nel luogo ove il cadavere era stato rinvenuto.

I congiurati vennero scoperti ed imprigionati. Calvetti, minacciato di tormenti, rivelò il complotto. Riuscito a fuggire fu poi fatto uccidere da un conoscente dei Cenci, monsignor Mario Guerra, per impedirne ulteriori testimonianze. Anche Marzio da Fioran, sottoposto a tortura, confessò ma, messo a confronto con Beatrice, ritrattò e morì poco dopo per le ferite subite. Giacomo e Bernardo confessarono anch'essi. Beatrice inizialmente negò ostinatamente ogni coinvolgimento indicando Olimpio come unico colpevole, ma la tortura [7] della corda [8] ne vinse ogni resistenza e finì per ammettere il delitto.

Acquisite le prove, i due fratelli Bernardo e Giacomo furono rinchiusi nel carcere di Tordinona,[9] Beatrice e Lucrezia in quello di Corte Savella [10].

[modifica] Il processo

Il processo fu affidato al giudice Ulisse Moscato ed ebbe un grande seguito pubblico. Nel dibattito si affrontarono due tra i più grandi avvocati dell'epoca: l'alatrese Pompeo Molella per l'accusa e Prospero Farinacci per la difesa. Farinacci, nel tentativo di alleggerire la posizione della giovane, accusò Francesco di aver stuprato la figlia. Ma Beatrice nelle sue deposizioni non volle mai confermare l'affermazione del difensore. Alla fine prevalse Molella e gli imputati superstiti vennero tutti giudicati colpevoli e condannati a morte.

Cardinali e difensori inoltrarono richieste di clemenza al pontefice ma Clemente VIII, preoccupato per i numerosi e ripetuti episodi di violenza verificatesi nel territorio dello stato, volle dare un severo ammonimento [11] e le respinse: Beatrice e Lucrezia, furono condannate alla decapitazione, Giacomo allo squartamento. Solo per Bernardo acconsentì alla commutazione della pena.

Bernardo, il fratello minore di soli diciotto anni, pur non avendo partecipato attivamente all'omicidio, era stato anch'esso condannato per non aver denunciato il complotto ma, per la sua giovane età, ebbe risparmiata la vita: gli fu imposta la pena dei remi perpetui, cioè remare per tutta la vita sulle galere pontificie, e fu obbligato ad assistere all'esecuzione dei congiunti. Inoltre, la notizia della commutazione della pena gli fu deliberatamente nascosta e comunicata solo poche ore prima della scampata esecuzione. Solo alcuni anni più tardi, dopo il pagamento di una grossa somma di denaro, riottenne la libertà.

[modifica] L'esecuzione

L'esecuzione di Beatrice, della matrigna e del fratello maggiore avvenne la mattina dell'11 settembre 1599 nella piazza di Castel Sant'Angelo gremita di folla. Tra i presenti anche Caravaggio insieme con i pittori Orazio ed Artemisia Gentileschi. La giornata molto afosa e la calca provocarono la morte di alcuni spettatori; qualcun altro cadde ed annegò nel Tevere.

La decapitazione delle due donne fu eseguita con la spada. [12] La prima ad essere uccisa fu Lucrezia, seguì poi Beatrice ed infine Giacomo: seviziato durante il tragitto con tenaglie roventi, mazzolato e poi squartato.

Il corpo della giovane, come lei stessa aveva richiesto prima di morire, fu sepolto in un loculo davanti l'altare maggiore di San Pietro in Montorio, sotto una lapide priva di nome, secondo la norma prevista per i giustiziati.

Nella notte dell'anniversario dell'esecuzione è invalsa la credenza di vedere la figura di Beatrice, che tiene in mano la testa recisa, aleggiare sul luogo in cui fu decapitata.

[modifica] La confisca dei beni

Dopo l'esecuzione, le proprietà della famiglia Cenci furono confiscate dalla Camera Apostolica e vendute all'asta per 91.000 scudi, cifra che parve inferiore al loro valore reale. La maggior parte dei beni, tra i quali la grande tenuta di Torrenova, settemila ettari ed un castello nell'Agro Romano, fu acquistata dal nipote del papa Gian Francesco Aldobrandini. Il procedimento innestò una lunga serie di cause legali promosse dai superstiti della famiglia con parziali restituzione di beni. La confisca, inoltre, rese vane le disposizioni testamentarie di Beatrice che aveva deciso consistenti lasciti in favore di varie istituzioni religiose.

[modifica] La profanazione della tomba

Nel 1798, durante la Prima Repubblica Romana, i soldati francesi, che avevano occupato la città al comando del generale Berthier, si abbandonarono a razzie e requisizioni: anche le tombe furono violate per impossessarsi del piombo delle casse. Secondo la testimonianza del pittore Vincenzo Camuccini,[13] che assistette all'episodio mentre lavorava al restauro della Trasfigurazione di Raffaello, alcuni soldati, guidati da uno scultore loro connazionale, entrati nella chiesa di San Pietro in Montorio, iniziarono a spaccare le lastre dei sepolcri poste sul pavimento. Uno di loro aprì la cassa di Beatrice e s'impossessò del vassoio d'argento sul quale era stata deposta la testa della giovane. Lo scultore, preso il teschio, incurante delle proteste di Camuccini, si allontanò lanciandolo in aria per gioco.

[modifica] La leggenda di Beatrice nell'Arte

Presunto ritratto di Beatrice attribuito a Guido Reni, 1599
Presunto ritratto di Beatrice attribuito a Guido Reni, 1599

Le vicende della famiglia Cenci, e di Beatrice in particolare, non potevano non suscitare interesse, sentimenti di partecipazione sincera e commozione, ma anche curiosità morbosa, sia tra gli strati popolari sia tra gli artisti. Gli ingredienti c'erano tutti: la bellezza e giovinezza di Beatrice, il cupo ambiente familiare, le passioni torbide del padre, l'incesto, la vendetta dei fratelli, l'espiazione ed il supplizio finale.

Per tali motivi, gli artisti delle arti figurative come di quelle letterarie, particolarmente in epoca romantica, trovarono numerosi elementi di ispirazione per le loro opere. Un presunto ritratto di Beatrice, attribuito a Guido Reni o ai suoi allievi, forse Elisabetta Sirani, é conservato nella Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Barberini, in Roma. Tra quelle letterarie possiamo citare:

Tra le opere musicali ricordiamo:

Nel Novecento é l'arte cinematografica, arte popolare per eccellenza, ad interessarsi della figura di Beatrice con numerose trasposizioni cinematografiche:

Ogni anno, nell'anniversario della morte di Beatrice, per volontà del principe Bolognetti, discendente della famiglia Cenci, viene celebrata una messa nella chiesa di Gesù e Maria in via del Corso a Roma.

[modifica] Curiosità

Nel comune di Cappadocia, provincia dell'Aquila, nella frazione di Petrella Liri, si trovano le Grotte di Beatrice Cenci, formate dalle acque del fiume Imele.

[modifica] Note

  1. ^ Francesco ed Ersilia, nei ventuno anni di matrimonio, ebbero dodici figli. Sette raggiunsero l'età adulta, cinque maschi e due femmine: Giacomo (nato nel 1568), Cristoforo (1572), Antonina (1573), Rocco (1576), Beatrice (1577), Bernardo (1581), Paolo (1583).
  2. ^ Mariano Armellini. Le chiese di Roma Dalle loro origini sino al secolo XVI. Roma, Tipografia Editrice Romana, 1887, pag. 214.
  3. ^ Processato nel 1594 per sodomia nei confronti di un ragazzo, fu condannato al pagamento di centomila scudi. La rilevanza della somma può essere meglio apprezzata considerando che, dopo l'esecuzione dei Cenci, il patrimonio familiare fu venduto all'asta per una cifra inferiore
  4. ^ Suo malgrado, per esplicito intervento papale, era già stato costretto a pagare una cospicua dote per l'altra figlia Antonina, sorella maggiore di Beatrice, sposata nel 1594, grazie ai buoni uffici di Clemente VIII, con Carlo Gabrielli, un nobile di Gubbio.
  5. ^ Olimpio Calvetti, sposato con Plautilla Gasparini e padre di Prospero e Vittoria, era l'uomo di fiducia della famiglia Colonna per i feudi della Valle del Salto. Alto e prestante, divenne confidente e probabilmente amante di Beatrice.
  6. ^ Cilindro di legno utilizzato in cucina per spianare la pasta in sfoglia.
  7. ^ I nobili non erano di regola sottoposti a tortura. Clemente VIII volle privare i Cenci di tale privilegio e dispose, con il motu proprio "Quemadmodum paterna clementia" del 15 agosto 1599, che anch'essi fossero torturati al pari degli altri accusati.
  8. ^ La tortura della corda consisteva nel sollevare l'imputato per le mani, precedentemente legate dietro la schiena, con una fune fatta passare per una carrucola appesa al soffitto (vedi Grazia Ambrosio: L'acqua e il fuoco prove della verità in Storia Illustrata, numero 232, marzo 1977, pagina 28, Editore Arnoldo Mondadori). L'infelice rimaneva sospeso a mezz'aria per il tempo necessario a recitare un'orazione. Il dolore era pressoché insostenibile e tale da indurre a rapide confessioni anche i più ostinati.
  9. ^ Il carcere di Tordinona (toponimo derivato dalla corruzione di Torre d'Annona), di cui non rimangono tracce, si trovava nei pressi di Ponte Sant'Angelo, Rione V - Ponte. L'edificio fu trasformato nell'omonimo teatro, nel 1669, con il permesso di papa Clemente IX (vedi Sergio Delli, Le strade di Roma, Newton Compton Editori, III edizione, 1988, pag. 910 e seguenti).
  10. ^ Del carcere di Corte Savella, ormai demolito, rimane qualche manufatto, incorporato in un edificio del XVIII secolo, in via di Monserrato, allo sbocco con Piazza di Santa Caterina della Rota, Rione VII - Regola (vedi Touring Club Italiano, Guida di Roma, VIII edizione, 1993, pag 368). Sull'altro lato della medesima via, sulle mura del Collegio Inglese, una lapide posta dal Comune nel 1999, quarto centenario della morte, ricorda che in quel luogo si ergeva Corte Savella onde fu prelevata per l'esecuzione Beatrice, definita "vittima esemplare di una giustizia ingiusta". Altri resti, alcune finestrelle con inferriate, si troverebbero anche nell'adiacente via dei Cappellari, all'interno di un cortiletto, peraltro di difficile accesso (vedi Georgina Masson, Guida di Roma, edizione Oscar Mondadori, 1973, pag. 148). È necessario ricordare che ambedue gli edifici, Tordinona e Corte Savella, vennero sostituiti dalle Carceri Nuove di via Giulia, volute da papa Innocenzo X e terminate di costruire nel 1655.
  11. ^ Qualche mese dopo, il 17 febbraio 1600, lo stesso pontefice Clemente XII condannò al rogo, in Campo de' Fiori a Roma, il filosofo Giordano Bruno quale "eretico impenitente".
  12. ^ Alla fine dell'Ottocento, durante i lavori di scavo per la costruzione degli argini del Tevere, sul greto del fiume, in corrispondenza del palco delle esecuzioni, fu rinvenuta una "spada di giustizia" del XVI secolo. L'arma è ora custodita nel Museo criminologico di Roma. Secondo quanto è riportato nel sito del museo l'arma potrebbe essere quella utilizzata per decapitare le due donne. Vedi Collegamenti esterni.
  13. ^ Fonte: Gustavo Brigante Colonna ed Emilio Chiorandi, opera citata in Bibliografia.

[modifica] Bibliografia

  • Ilario Ranieri. Beatrice Cenci secondo i costituti del suo processo: storia di una leggenda. Siena, Tipografia S. Bernardino, 1909
  • Gustavo Brigante Colonna, Emilio Chiorando. Il processo dei Cenci, 1599. Milano, Mondadori, 1934
  • Corrado Ricci. Beatrice Cenci.

Milano, Treves, 2 vol. 326+322 pag.,1923 Milano, Garzanti,1 vol. 386 pag. (riduzione della 1a ed.), 1941

  • Norberto Valentini. Beatrice Cenci: un intrigo del Cinquecento. Milano, Rusconi, 1981
  • Mario Bevilacqua, Elisabetta Mori (a cura di). Beatrice Cenci: la storia, il mito. Roma, Fondazione Marco Besso - Viella, 1999. ISBN 88-8334-010-8
  • Michele Di Sivo (a cura di). I Cenci. Nobiltà di sangue. Roma, Fondazione Marco Besso - Colombo, 2002. ISBN 88-86359-45-4
  • Cecilia Gatto Trocchi. Leggende e racconti popolari di Roma. Miti, storie e misteri di una citta rivisitati dalla fantasia popolare: personaggi fantastici e bizzarri dalla papessa Giovanna a Beatrice Cenci, da Lucrezia Borgia al Marchese del Grillo. Roma, Newton & Compton, 2002. ISBN 88-8289-736-2
  • Corrado Augias. I segreti di Roma. Storie, luoghi e personaggi di una capitale. Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2005. ISBN 978-88-04-56641-0
  • Domenico Di Cesare. Si accende il giorno: la tragedia di Beatrice Cenci. Rieti, Hobo, 2006

[modifica] Collegamenti esterni

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