Libro di Giona
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Antico Testamento |
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Ebraico, Protestante, Cattolico, Ortodosso
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Deuterocanonici (non canonici per ebrei, canonici per cattolici e ortodossi, apocrifi per protestanti)
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Ortodosso
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Copto |
Siriaco (Peshitta) |
Progetto Religione uso tabella |
Il Libro di Giona, tradizionalmente attribuito al profeta Giona è uno dei libri della Bibbia, precisamente dell'Antico Testamento.
Appartiene al gruppo dei Profeti Minori.
Indice |
[modifica] Generalità
Per la sua brevità il libro Giona è stato inserito tra i cosiddetti profeti minori; ma, più che della effettiva messa per iscritto della predicazione di un profeta, come avviene per Isaia, Geremia e per tutti gli altri profeti maggiori e minori, si tratta di una sorta di "racconto esemplare" come quelli di Tobia e Giuditta, catalogati invece tra i libri storici dell'Antico Testamento. Si pensa che sia stato scritto molto tempo dopo l'epoca a cui si riferisce, in ambiente postesilico.
[modifica] Contenuto
Nel capitolo 1 la Parola del Signore è rivolta a Giona, figlio di Amittai, e gli viene comandato di andare a predicare a Ninive, la Grande Città. Giona invece fugge a Tarsis via nave; di questa localizzazione si dirà più sotto. Ma la nave è investita da un fortunale e rischia di essere colata a picco dalla violenza delle onde. Giona allora ritrova improvvisamente il proprio coraggio e svela ai compagni di viaggio che la colpa dell'ira divina è sua, poiché ha rifiutato di obbedire a JHWH; perché la nave sia salva, egli deve essere gettato in mare.
E così, ecco nel capitolo 2 l'episodio che ha ispirato generazioni di scrittori ed artisti. Giona è gettato in mare, ma un "grande pesce" (da nessuna parte è precisato che si tratti di una balena) lo inghiotte. Dal ventre del pesce, dove rimane tre giorni e tre notti, Giona rivolge a Dio un'intensa preghiera, che ricorda uno dei Salmi. Allora, dietro comando divino, il pesce vomita Giona sulla spiaggia.
Nel capitolo 3, Giona ottempera la sua missione e va a predicare ai niniviti. Questi, contro ogni aspettativa, gli credono, proclamano un digiuno, si vestono di sacco e Dio decide di risparmiare la città. Ma qui riemerge l'istinto ribelle di Giona: lui non è contento del perdono divino, voleva la punizione della città di Ninive. Così, nel capitolo 4, si siede davanti alla città e chiede a Dio di farlo morire.
L'episodio più gustoso del libretto si trova proprio nel capitolo 4. Il Signore fa spuntare un ricino sopra la sua testa per apportargli ombra, ed egli se ne rallegra. Ma all'alba del giorno dopo un verme rode il ricino che muore, il sole e il vento caldo flagellano Giona, che invoca di nuovo la morte. Allora l'autore riporta le parole di Dio, divenute celeberrime:
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«Tu ti dai pena per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita; ed io non dovrei aver pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?» (Giona 4,10-11) |
[modifica] Alcuni simboli
[modifica] Tarsis
Tarsis appare nella Bibbia (Genesi 10,4) come il terzo figlio di Javan, a sua volta quartogenito di Jafet, figlio di Noè: è la cosiddetta Tavola delle Genti, i cui protagonisti non sono nomi di persona ma indicazioni geografiche. Javan ricorda la Ionia, una delle regioni storiche della Grecia, ed i suoi figli, oltre a Tarsis, sono Elisa (ricorda Ellenia, cioè la Grecia stessa), gli abitanti di Cipro (Chittim) e quelli di Rodi (Rodanim).
Tarsis è stato identificato con la città di Tartesso, fiorente centro mercantile conquistato dai Cartaginesi nel 553 a.C., posto alla foce del Guadalquivir sulla costa atlantica della Spagna, e da alcuni identificato con la mitica Atlantide. Poiché si trovava al di fuori delle famose Colonne d'Ercole, è evidente che esso rappresentava la più occidentale tra tutte le città conosciute dagli Ebrei, e quindi il messaggio dell'autore biblico è evidente: Dio ordina a Giona di andare all'estremo oriente, a Ninive, ed invece lui fugge praticamente agli antipodi, cioè all'estremo occidente!
[modifica] Il pesce
Quando il libro di Giona parla di un grande pesce, più che ad una balena o a uno squalo bianco (come ipotizzato da alcuni), presumibilmente l'autore biblico pensa ad uno dei mostri primordiali citati nel libro di Giobbe, simboli del caos. Ad ogni modo, quest'immagine ha conosciuto una fortuna incredibile nella letteratura. Tra gli altri viene ripresa:
- da Ludovico Ariosto nei suoi Cinque Canti, aggiunti e poi espunti dall'Orlando furioso, dove a finire nel ventre di una balena è Astolfo;
- dal Barone di Münchhausen di Rudolf Erich Raspe, che ne fa una delle sue vanterie più famose (a tirarlo fuori dal pesce sono alcuni pescatori);
- e, naturalmente, da Carlo Collodi nel suo immortale Pinocchio, anch'egli emulo dell'antico Giona.
[modifica] « Tre giorni di cammino »
Quest'espressione indica le dimensioni di Ninive ed è una chiara iperbole. Infatti nel libro dell'Esodo il "cammino di tre giorni" è quello necessario per uscire dall'Egitto e compiere un pellegrinaggio nel deserto ed offrire sacrifici al Signore (Esodo 5,3). Dopo tre giorni di cammino, inoltre, dopo il passaggio del Mar Rosso il popolo eletto raggiunge Mara (Esodo 15,23), luogo dove si manifesta la Misericordia di Dio, a cui evidentemente vuole alludere l'autore del libro di Giona.
[modifica] La destra e la sinistra
L'espressione non saper distinguere la destra dalla sinistra si trova solo nel libro di Giona. È abbastanza evidente che esse intendono indicare il Bene e il Male, perché secondo Deuteronomio 1,39 sono i bambini a non saper distinguere l'uno dall'altro. I niniviti sono dunque considerati come dei bambini che non hanno ancora conosciuto la Parola di Dio.
[modifica] Ricino (o zucca)
(Il significato anagogico – esegesi a cura di un cristiano senza etichetta religiosa)
Nel quarto capitolo del libro “Giona” leggiamo: “4:5 Poi Giona uscì dalla città, e si mise a sedere a oriente della città; si fece quivi una capanna, e vi sedette sotto, all'ombra, stando a vedere quello che succederebbe alla città."4:6 E Dio, l'Eterno, per guarirlo dalla sua irritazione, fece crescere un ricino (la parola "ricino", che troviamo nel nostro testo - o "zucca", come viene definita nella versione dei LXX o "edera", adoperata da altri traduttori - è stata usata poiché non esisteva un termine per tradurre in latino il termine che si trova nel testo ebraico Qîqāĵon che indica un cespuglio o arbusto a foglia larga , diffuso in Palestina, che cresce e secca rapidamente specie sui terreni sabbiosi. In siriaco e in punico si dice qiqaja) che montò su di sopra a Giona, per fargli ombra al capo; e Giona provò una grandissima gioia a motivo di quel ricino."
Meditiamo sulle seguenti domande:
- 1. Perché il ricino procurò una grandissima gioia a Giona, forse per la sua ombra?
- 2. Perché l’ombra del ricino era così importante per Giona?
- 3. Per quale motivo Dio avrebbe dovuto far crescere il ricino "per far ombra al capo di Giona" se questi già si trovava all'ombra sotto la capanna?
- 4. Quale ombra poteva realizzare il ricino durante la notte e sotto una capanna?
Per rispondere a queste domande evidentemente dobbiamo intendere la Scrittura in maniera spirituale; con l'aiuto dello Spirito di Dio proviamoci:
- 1. Giona, dunque, si era costruito da solo una capanna sotto la quale riposare comodamente al riparo dai raggi del sole ed osservare ciò che sarebbe successo a Ninive.
Anche oggi molte persone si costruiscono "un loro riparo" (una sicurezza, una casa, un lavoro, una indipendenza economica), dal quale sperano di vedere le disgrazie che colpiranno gli altri, si premurano di mettere loro stessi al riparo dalla calura delle prove e non si accorgono che facendo ciò sono proprio loro ad essere colpiti!
- 2. Giona stava al suo riparo ma questo non lo proteggeva dai dardi infuocati del nemico che facevano bruciare la sua mente!
- 3. Aspettava che il male cadesse sugli altri senza accorgersi che egli stesso ne era già vittima!
Giona era già ammalato perché non aveva pace (infatti la Scrittura dice che era “irritato” e di questa irritazione ne conosciamo il motivo, la gelosia per il suo popolo) e chi è ammalato ha bisogno di guarigione: per guarirlo dalla sua irritazione il Signore fece crescere il ricino che gli procurò la vera e fresca ombra della quale tutti abbiamo bisogno. Nel salmo 91 troviamo scritto:
- " Chi dimora nel ritiro dell'Altissimo alberga all'ombra dell'Onnipotente.
Io dico all'Eterno: Tu sei il mio rifugio e la mia fortezza, il mio Dio, in cui confido! (Sal. 91:1,2)
Possiamo costruire le capanne più fresche, le case fornite di aria condizionata ma non avremo frescura nella nostra mente senza quel "germoglio" fresco mandato da Dio per noi.
Esaminando la Scrittura possiamo leggere:
- "In quel giorno, il germoglio dell'Eterno sarà lo splendore e la gloria degli scampati d'Israele, e il frutto della terra sarà il loro orgoglio ed il loro ornamento." (Is. 4:2) e la scrittura prosegue e conclude il capitolo 4 dicendo: E vi sarà una tenda per far ombra di giorno e proteggere dal caldo, e per servir di rifugio e d'asilo durante la tempesta e la pioggia." (Is. 4:6)
Solo in quel giorno, quando sarà giunto a farci ombra il "Germoglio", potrà esserci una tenda vera che ci proteggerà e ci farà ombra, quando, cioè, il Signore Gesù sarà venuto a regnare nei nostri cuori, solo allora dimoreremo nel ritiro dell'Altissimo ed albergheremo all'ombra dell'Onnipotente nella tenda che Egli costruirà: la Sua chiesa. Infatti è scritto:
- "… Così parla l'Eterno degli eserciti: Ecco un uomo, che ha nome il Germoglio; egli germoglierà nel suo luogo, ed edificherà il tempio dell'Eterno;" (Zac. 6:12)
Dice ancora la Scrittura:
- "Ecco, i giorni vengono, dice l'Eterno, quand'io farò sorgere a Davide un germoglio giusto, il quale regnerà da re e prospererà, e farà ragione e giustizia nel paese." (Ger. 23:5)
Ecco di cosa abbiamo bisogno affinché la nostra mente trovi il giusto riposo, un "Germoglio giusto", cioè Gesù che regni da Re in noi.
Ecco la risposta, il ricino è figura di Cristo Gesù.
- La vera ombra fresca che ripara il nostro capo, la nostra mente è l'ombra dell'Onnipotente, cioè Cristo Gesù.
Se ti troverai sotto questa vera e fresca ombra potrai verificare che, come dice la Scrittura: "Di giorno il sole non ti colpirà, né la luna di notte." (Sal. 121:6)
Giona, all'ombra del "Germoglio" sentiva la vera frescura e, guarito dalla sua irritazione, godeva in pace ma… Iddio permise che un "verme" rodesse quella meravigliosa pianta che, morendo, non fornì più con la sua presenza la tanto gradita e salutare ombra. Il “verme”, spiritualmente raffigura:
- 1. il popolo di Israele, nella Scrittura troviamo: “Non temere, o Giacobbe che sei come un verme, o residuo d'Israele! Son io che t'aiuto, dice l'Eterno; e il tuo redentore è il Santo d'Israele” (Isaia 41:14);
- 2. Il dubbio che rode la fede nel Signore e porta via la pace.È scritto, infatti: “Ma schiva le profane ciance, perché quelli che vi si danno progrediranno nella empietà e la loro parola andrà rodendo come fa la cancrena; fra i quali sono Imeneo e Fileto; uomini che si sono sviati dalla verità, dicendo che la resurrezione è già avvenuta, e sovvertono la fede di alcuni” (II Timoteo 2:16-18)
Iddio permise al verme di rodere la pianta (la fede in Cristo) ma Giona non la custodì, non vigilò, non si avvide del verme e comunque non lo scacciò. Il risultato dell'incuria di Giona fu che il germoglio appassì, scomparve quell'ombra preziosa che custodiva la testa di Giona e l'irritazione e lo sconforto tornarono nel cuore del profeta.
Com'è vero! Quando permettiamo al verme del dubbio di attaccare la fede nel Signore che ci protegge il risultato è che facciamo appassire il "Germoglio" che tiene fresca la nostra mente! Allora, all'apparire della prova, ci accorgiamo del vento soffocante d'oriente e della calura che ci investe e, sentendoci venir meno, anche noi gridiamo come Giona: "Meglio è per me morire che vivere". Il libro di Giona termina con le seguenti parole: 4:9 E Dio disse a Giona: "Fai tu bene a irritarti così a motivo del ricino?" Egli rispose: "Sì, faccio bene a irritarmi fino alla morte". 4:10 E l'Eterno disse: "Tu hai pietà del ricino per il quale non hai faticato, e che non hai fatto crescere, che è nato in una notte e in una notte è perito: 4:11 e io non avrei pietà di Ninive, la gran città, nella quale si trovano più di centoventimila persone che non sanno distinguere la loro destra dalla loro sinistra, e tanta quantità di bestiame?"
Per trovare il significato spirituale in queste ultime parole dobbiamo distaccarci come sempre dal significato letterale, che invece è ben chiaro, e scavare profondamente per mezzo della Spirito Santo.
Anche in questi tre ultimi versetti vediamo un "germoglio" o un "rampollo o radice" come lo definisce Isaia "Egli è venuto su dinanzi a lui come un rampollo, come una radice ch'esce da un arido suolo;" (Is. 53:2) che appassisce rapidamente e muore, secondo il consiglio di Dio, ed un popolo di peccatori che si pente e si salva (in questa seconda figura vediamo in Ninive).
Un "Germoglio" muore ed un popolo vive! Gesù Cristo muore ed un popolo che si ravvede, crede e si pente vive.
Il libro termina con le parole del Signore ed il fatto che Giona non replichi dimostra che egli ha capito la lezione!
Da questa piccola meditazione traiamo un buon insegnamento chiedendo che Dio ci aiuti a vigilare sulla nostra fede ponendo la massima cura nel custodire il "Germoglio" che ci protegge.
Preghiamo che il Signore custodisca in noi, fino alla fine, il buon deposito.
Iddio sia benedetto in eterno e spanda su di noi le Sue benedizioni. Amen.
- Antonio Strigari
[modifica] Giona nel Nuovo Testamento
La permanenza di Giona per tre giorni e tre notti nel ventre del pesce ha conosciuto un'importante lettura cristologica nel Nuovo Testamento. Così recita infatti Matteo 12,40):
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« Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra. » |
Anzi, alla "generazione perversa" che domanda un segno, Gesù non promette altro che il segno di Giona. I tre giorni trascorsi da Giona nel ventre del mostro richiamano la resurrezione di Gesù "il terzo giorno". Infatti, secondo il linguaggio biblico, "tre giorni" rappresenta lo spazio di tempo al di là del quale la morte è definitiva ed irreversibile. Ed anche la pronta conversione dei niniviti è contrapposta da Gesù all'incredulità dei suoi contemporanei.
[modifica] Giona nella tradizione ebraica successiva
In questo contesto non si può non citare « Jona che visse nella balena », film di Roberto Faenza del 1993, che racconta le disavventure di un bambino nell'orrore dei campi di sterminio nazisti, ai quali sopravvive ma in cui perde padre e madre. In questo contesto Giona si trasforma nell'incarnazione dell'intero popolo ebraico, costretto a restare "nel ventre della balena", cioè in un mondo ostile che cerca di opprimerlo o addirittura di distruggerlo, ma, con tenacia e forza d'animo, riuscirà ad essere "vomitato" dal mostro e a tornare alla vita.
[modifica] Significato
Chiaro appare il messaggio del libro di Giona, al di là del linguaggio metaforico usato dall'autore. Esso intende sostenere con entusiasmo l'apertura universalistica che stava avvenendo in alcuni ambienti del giudaismo postesilico, soprattutto nell'ambito della diaspora ebraica nell'intero ecumene. Se, da un lato, non mancavano correnti inclini alla chiusura a riccio dell'Ebraismo contro ogni infiltrazione ideologica dall'esterno, ben testimoniate dai libri di Esdra e Neemia, d'altra parte si avvertiva da più parti l'esigenza di un impegno missionario verso i Gentili.
Ninive era un chiaro simbolo di oppressione per Israele, avendo distrutto e deportato il Regno del Nord; eppure a Giona, che qui rappresenta il rifiuto di questa nuova politica, è chiesto di invitare alla conversione proprio quella città. Dopo che egli ha accettato a malincuore di farlo, il suo rifiuto della decisione divina di risparmiare la città spiega assai bene i motivi della fuga nella direzione opposta. Giona non si rassegna ad accettare un Dio misericordioso, preferendogli il Dio del giudizio inesorabile, soprattutto contro un impero tanto odioso come quello assiro. Al suo sfogo, che rasenta la bestemmia, Iddio risponde con la parabola del ricino, il cui significato è altrettanto chiaro. Noi tutti siamo pronti a preoccuparci per le piccole cose della vita; perché Dio non dovrebbe preoccuparsi altrettanto dell'intera umanità, anche quella peccatrice e pagana, affinché possa essere salvata essa pure?
[modifica] Voci correlate
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