Guerra d'Etiopia
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Guerra d'Etiopia | |||||||
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![]() Truppe italiane in marcia |
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Schieramenti | |||||||
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Comandanti | |||||||
Emilio De Bono, Pietro Badoglio, Rodolfo Graziani |
Haile Selassie Ras Immirù Ras Cassa Darghiè Ras Mulughietà Ras Sejum Mangascià |
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Effettivi | |||||||
330.000 uomini | 500.000 uomini | ||||||
Perdite | |||||||
1.500 soldati circa 13.500 civili |
16.000 soldati 259.000 civili circa |
Con il termine guerra d'Etiopia o guerra italo-etiopica 1935-1936 (talvolta nota anche come guerra d'Abissinia o campagna d'Etiopia) ci si riferisce ai combattimenti tra le forze italiane ed etiopi durati sette mesi tra il 1935-1936.
Indice |
[modifica] Preludio
Dopo il 1929 l'espansione imperiale divenne uno dei temi favoriti del governo fascista di Mussolini che aspirava alla ricostruzione di un impero, sullo stile dell'Impero romano; difatti, osservava Mussolini, Gran Bretagna e Francia possedevano importanti imperi in Africa, così come molte altre nazioni europee. L'Abissinia, inoltre era l'unico stato, insieme alla Liberia, ancora indipendente, e quindi una sua eventuale invasione non doveva provocare, in teoria, nessun intervento internazionale. Oltre a ciò la vicinanza con l'Eritrea ad est e la Somalia italiana a sud, potevano determinare la creazione di un'importante zona di influenza italiana. Non da ultimo, il livello militare delle truppe etiopi era basso, e il paese ricco di risorse naturali; e d'altro canto si poteva vendicare la sconfitta patita durante la campagna d'Africa orientale nel 1896.
[modifica] Le incursioni italiane
Il trattato italo-etiope del 1928 non stabiliva con esattezza il confine tra la Somalia italiana e l'Abissinia, ovvero non indicava espressamente quali località e zone fossero da considerare appartenenti all'Italia od all'Abissinia. Tale accordo si limitava a stabilire che il confine era da situare a 21 leghe parallele alle coste della regione del Benadir.
Proprio per questa indeterminatezza, sorsero sin da subito violente controversie tra i firmatari del patto, le quali furono tra le cause della successiva guerra di Etiopia: allo scopo di ingrandire la porzione di territorio spettante, gli Abissini ritenevano che le 21 leghe cui si accennavano fossero quelle nautiche, mentre gli Italiani che esse fossero quelle standard.
Di fatti, ambedue gli stati dimostravano l'intenzione aggressiva di estendere il proprio dominio: il negus Hailè Selassie desiderava ottenere uno sbocco sul mare per il proprio impero (che otterrà dai Britannici nel 1941 alle spese dell'Eritrea italiana), mentre il duce Benito Mussolini ambiva a unificare le colonie dell'Eritrea e della Somalia, tra loro separate.
Conseguentemente, si verificarono decine di episodi di sconfinamenti aggressivi: tra i più gravi vi furono l'attacco al consolato italiano a Gondar da parte di gruppi armati etiopici, che causarono numerosi morti tra gli ascari eritrei (4 novembre 1934), e l'incidente di Ual Ual (5 dicembre 1934).
Ad Ual Ual 1500 soldati abissini aggredirono una postazione militare italiana di confine, composta da circa 200 militari, uccidendone 80: tale episodio sarà usato dal duce come pretesto per dichiarare guerra.
Mussolini chiese delle scuse ufficiali e il pagamento di un'indennità per le famiglie degli uccisi da parte del governo etiope, conformemente a quanto stabilito nell'accordo del 1928. Il negus Haile Selassie, avendone la possibilità in virtù del medesimo trattato, decise invece di rimettersi, tra le riserve italiane, alla Società delle nazioni (2 gennaio). Ciò provocò la cosiddetta crisi abissina all'interno della Società delle Nazioni, che, per far luce sulla vicenda, si impegnò in un arbitrato tra le parti, temporeggiando. Tuttavia, i rapporti italo-etiopi erano irrimediabilmente compromessi e entrambi gli stati iniziarono a mobilitare le proprie truppe in previsione di un prossimo conflitto.
Tra il 4 e il 7 gennaio 1935 Mussolini incontrò a Roma il ministro degli esteri francese Pierre Laval, col quale vennero firmati accordi in virtù dei quali la Francia prometteva di appoggiare diplomaticamente l'Italia in caso di una guerra contro gli Etiopi.[1]
Laval sperava in tal modo di avvicinare Mussolini alla Francia, al fine di dar vita ad un'alleanza in funzione anti-nazista (Hitler rivendicava l'Alsazia-Lorena, persa dai tedeschi dopo la prima guerra mondiale).
Il 16 gennaio Mussolini assunse la direzione del Ministero delle Colonie.
Il 19 gennaio la Società delle nazioni riconobbe "la buona fede" di Italia ed Etiopia nell'incidente di Ual Ual e decise che il caso dovesse essere trattato tra le due parti interessate; tuttavia, il 17 marzo gli abissini presentarono un altro ricorso, appellandosi all'articolo XV dell'organizzazione.
L'8 giugno a Cagliari, di fronte all'ostilità mostrata in tal senso dalla Gran Bretagna, il duce rivendicò il diritto dell'Italia ad attuare una propria politica coloniale e, il 18 settembre, in un articolo pubblicato sul Morning Post, garantì che non sarebbero stati lesi gli interessi francesi e britannici nell'Africa orientale.
Il 2 ottobre Mussolini dichiarò guerra all'Etiopia dal balcone di palazzo Venezia.
[modifica] L'attacco italiano
Il 3 ottobre 1935 100.000 soldati italiani ed un considerevole numero di Áscari, sotto il comando del maresciallo Emilio De Bono iniziarono ad avanzare dalle loro basi in Eritrea. Alla stessa data, un contingente comandato dal generale Rodolfo Graziani, mosse da sud, dalla Somalia Italiana. Il 6 ottobre venne occupata Adua, cittadina presso la quale gli italiani avevano subito una cocente sconfitta durante la campagna d'Africa Orientale. Il 15 ottobre venne occupata Axum, la capitale religiosa dell'Etiopia.
Attaccando il paese africano, che era membro della SdN, Mussolini aveva violato l'articolo XVI dell'organizzazione medesima: "se un membro della Lega ricorre alla guerra, infrangendo quanto stipolato negli articoli XII, XIII e XV, sarà giudicato ipso facto come se avesse commesso un atto di guerra contro tutti i membri della Lega, che qui prendono impegno di sottoporlo alla rottura immediata di tutte le relazioni commerciali e finanziarie, alla proibizioni di relazioni tra i cittadini propri e quelli della nazione che infrange il patto, e all'astensione di ogni relazione finanziaria, commerciale o personale tra i cittadini della nazione violatrice del patto e i cittadini di qualsiasi altro paese, membro della Lega o no".
Per questo motivo, la Società delle Nazioni, espressione principalmente della volontà della Francia e del Regno Unito (i due stati più forti ed influenti), condannò l'aggressione italiana il 7 ottobre e il 18 novembre l'Italia venne colpita dalle sanzioni economiche imposte dalla SdN (nonostante questa non le avesse applicate contro il Giappone nel 1931 in occasione dell'invasione della Manciuria e contro la Germania nel 1934 per la tentata annessione dell'Austria), approvate da 52 stati con i soli voti contrari di Austria, Ungheria e Albania. La Germania, comunque, era uscita dalla SdN nel 1933 (essendone stata membro solo dal 1926 al 1933), non rientrando nei termini dell'articolo XVI per l'anno 1934.
Le sanzioni risultarono inefficaci perché numerosi paesi, pur avendole votate ufficialmente, mantennero buoni rapporti coll'Italia, rifornendola di materie prime. Tra queste la Germania: di fatti, la guerra d'Etiopia rappresentò il primo punto di avvicinamento tra Mussolini ed Hitler.
Inoltre, le sanzioni non riguardarono materie di vitale importanza, come ad esempio il petrolio. Gran Bretagna e Francia argomentarono infatti che la mancata fornitura di petrolio all'Italia poteva essere facilmente aggirata ottenendo rifornimenti dagli Stati Uniti d'America, che non erano membri della Società stessa. Conseguentemente, il decreto delle sanzioni fu il risultato di un elaborato e controverso compromesso, noto come Patto Hoare-Laval.
Durante il corso della guerra e nell'immediata fase prebellica, le truppe etiopi vennero rifornite di armi e mezzi da alcune potenze europee, tra le quali Francia e Regno Unito, che fornirono anche ufficiali per istruire meglio le truppe del Negus, circa il doppio rispetto a quelle italiane.
Il 28 novembre De Bono venne sostituito dal generale Pietro Badoglio, dato che Mussolini riteneva troppo cauto nell'avanzata. La condotta della guerra ebbe un'accelerata col cambio della guardia al vertice del fronte nord, e con l'utilizzo di bombe contenenti il gas iprite, di cui sono un esempio le C500T, dove T era l'abbreviazione di 'Temporizzata': un meccanismo a spoletta le faceva esplodere in quota in modo che ne venisse aumentato il raggio d'azione.
Alla fine di gennaio 1936 le truppe di ras ras Cassa tentarono di sfondare il fronte italiano nel Tembien per prendere al rovescio le unità che occupavano Macallè, ma furono bloccate a passo Uarieu dalle forze della Legione 28 ottobre. Nel successivo marzo la controffensiva italiana arrivò alle rive del Lago Tana.
Le bombe all'iprite vennero utilizzate anche sul fronte sud al comando di Graziani; alcuni recenti studi riconducono in ultima analisi la responsabilità sull'uso di tali ordigni (vietati dalla convenzione di Ginevra del 1925) direttamente a Mussolini, che in diversi ordini telegrafati ai due comandanti al fronte ne avrebbe autorizzato l'uso.[2] Pure i soldati abissini utilizzavano armi proibite, in modo particolare i proiettili esplosivi Dum-dum, anch'essi vietati dalla convenzione di Ginevra, che gli vennero forniti regolarmente dal Regno Unito e Svezia.
Il 29 marzo 1936 le forze di Graziani bombardarono la città di Harar e due giorni dopo le forze italiane vennero impegnate nel più significativo scontro contro le forze etiopiche: la battaglia di Macallè.
Il 31 marzo 1936 venne respinto un contrattacco di Haile Selassie nella Battaglia di Maychew.
Di fronte ad una situazione sempre più disperata, il 2 maggio Haile Selassie abbandonò la guida delle truppe etiopi e la capitale e fuggì in esilio col tesoro della corona. Il 5 maggio le truppe di Badoglio entrarono nella capitale Addis Abeba.
Il 7 maggio l'Italia annetté ufficialmente il Paese, e il 9 maggio, dal balcone di Palazzo Venezia, Mussolini annunciò la fine della guerra e proclamò la rinascita dell'impero (il re d'Italia assume il titolo di imperatore d'Etiopia).
Mussolini stabilì che, nell'indicare la data sui documenti ufficiali e sui giornali, occorresse scrivere, accanto al conteggio degli anni a partire dalla nascita di Gesù, anche quello a cominciare dal 28 ottobre 1922 (tale disposizione era già in uso) affiancato da quello dalla fondazione dell'impero (ad esempio, il '36 era indicato come "anno 1936, XIV dell'Era Fascista, I dell'Impero").
Eritrea, Abissinia e Somalia Italiana vennero riunite sotto un'unico Governatore, e il nuovo possedimento coloniale venne denominato Africa Orientale Italiana.
Il 4 luglio la SdN decretò terminata l'applicazione dell'articolo XVI e le sanzioni caddero il 15 dello stesso mese (l'unico stato che si oppose fu il Sudafrica, dove pure vigeva l'Apartheid contro la popolazione negra).
[modifica] La vittoria e l'impero
La vittoria venne ufficialmente comunicata da Mussolini al popolo italiano la sera del 5 maggio 1936, dopo un messaggio del maresciallo Pietro Badoglio. Pochi giorni dopo, il 9 maggio 1936, il Duce proclamò la nascita dell'impero, riservando per Vittorio Emanuele III la carica di imperatore d'Etiopia e per entrambi quella di Primo Maresciallo dell'Impero.
Per un certo periodo in Etiopia si verificarono continui attacchi della guerriglia, che venne duramente repressa con l'impiego di gas e la fucilazione dei ribelli.
[modifica] Il massacro di Amezegna Washa
Tra il 9 e l'11 aprile 1939 una carovana di «salmerie» dei combattenti di Abebè Aregai, guida del movimento di guerriglia, si rifugiò nella grotta di Amezegna Washa (antro dei ribelli) del monte Amba Aradam dopo essere stata individuata dall'aviazione italiana. Pur essendo circondata, la carovana rifiutò di arrendersi, e venne attaccata con il ricorso di bombe all'iprite. Gli 800 sopravvissuti all'attacco furono fucilati.[3]
[modifica] Canzoni derivate dalla Campagna
Sono derivate molte canzoni dalla Guerra etiope: tra questa la più famosa è certamente Faccetta nera, cantata anche in dialetto romanesco, tedesco, inglese e francese.
Si ricordano anche Povero Selassiè, O morettina, Noi tireremo dritto.
[modifica] Fine dell'Impero
Alcuni alti ufficiali militari italiani ritennero impossibile difendere e mantenere in possesso l'Africa orientale in caso di guerra contro la Gran Bretagna; giudicando arduo rifornire la colonia attraverso lo stretto di Gibilterra e il canale di Suez, controllati dai britannici.
L'Africa Orientale Italiana cessò definitivamente di esistere nel dicembre 1941 sotto i colpi dell'esercito britannico, dopo una resistenza disperata messa in atto dalle truppe italiane, soprattutto nella battaglia di Cheren.
L'Abissinia venne conquistata dai britannici, i quali restaurarono sul trono Hailè Selassiè.
Con il trattato di pace di Parigi del 1947 l'Abissinia ingrandì il suo territorio, annettendo l'Eritrea, al quale ha dato l'indipendenza solo negli anni '90.
[modifica] Note
- ^ Langer, William L. ed., An Encyclopaedia of World History. Houghton Mifflin Company, Boston, 1948, p. 990.
- ^ Bernard Bridel. Les ambulances à Croix-Rouge du CICR sous les gaz en Ethiopie su Le Temps (in francese)
- ^ Paolo Rumiz, "Etiopia: quella strage fascista mai raccontata"La Repubblica, 22 Maggio 2006.
[modifica] Bibliografia
- Ennio Di Nolfo. Storia delle Relazioni Internazionali. Bari, Laterza, 2000. ISBN 88-420-6001-1
[modifica] Voci correlate
- Africa Orientale Italiana
- Amba Aradam
- Áscari
- Campagna d'Africa Orientale
- Corno d'Africaol
- Ilio Barontini
- Impero coloniale italiano
- Pietro Tresso
- Ras Sejum
[modifica] Altri progetti
Wikimedia Commons contiene file multimediali su Guerra d'Etiopia
[modifica] Collegamenti esterni
- [http://www.ilcornodafrica.it/ Sito dedicato alla presenza italiana nel Corno d'Africa.
- Sito del convegno sui crimini di guerra italiani nella guerra d'Etiopia, Milano 5-7 ottobre 2006
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