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Le nuvole (album) - Wikipedia

Le nuvole (album)

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Le nuvole
Artista Fabrizio De André
Featuring {{{Featuring}}}
Tipo album Studio
A-side {{{A-side}}}
B-side {{{B-side}}}
Pubblicazione settembre 1990
Durata 41 min : 24 sec
Album di provenienza {{{Album di provenienza}}}
Dischi 1
Tracce 8
Genere Pop
Etichetta Fonit Cetra/Ricordi
Edizioni {{{Edizioni}}}
Produttore Pagani/De André
Arrangiamenti Pagani, De André, tranne:
Don Raffaè: Pagani, De André, Conforti;
Le nuvole e Ottocento: Milesi, Conforti
Regista {{{Regista}}}
Registrazione Registrato e mixato alla fine del 1989 negli Studi Metropolis (MI).
Formati {{{Formati}}}
Note L'album e La domenica delle salme si aggiudicano la Targa Tenco.
Scrittore (i) {{{Scrittore}}}
Premi
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Dischi di diamante {{{Numero dischi di diamante}}}
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« ... I am a free prince,
and I have as much authority to make war
on the whole world, as he
who has a hundred sail of ships at sea »
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« ... io sono un principe libero
e ho altrettanta autorità di fare guerra
al mondo intero quanto colui
che ha cento navi in mare »

Le nuvole (1990) è il dodicesimo album registrato in studio di Fabrizio De André.

Indice

[modifica] Il disco

Dopo il successo di Crêuza de mä (1984), Fabrizio De André ritorna, dopo un lungo periodo di silenzio, a collaborare con l'amico Mauro Pagani. Per quanto riguarda lo stile, se da un lato (la facciata B dell'LP) il nuovo lavoro continua sull'onda etnico/dialettale di Creuza, dall'altro (il lato A) l'opera assomiglia di più alla produzione deandreiana precedente a Creuza e ai dischi di influsso angloamericano con Massimo Bubola, Rimini (1978) e L'indiano (1980). [2] [3]

I brani Mégu Megún e 'Â çímma, in lingua ligure, inaugurano la collaborazione con Ivano Fossati, che proseguirà con l'album Anime salve; il testo di Don Raffaè è scritto a quattro mani con Massimo Bubola.

Così Pagani spiega la genesi dell'album:

Collabora a Wikiquote « ...in Creuza in fondo ci eravamo divisi i compiti, lui i testi, io le musiche. Quando cominciammo a lavorare al disco nuovo ci rendemmo conto invece che con il passare degli anni il nostro rapporto si era fatto più profondo, che le nostre conoscenze sempre più si influenzavano e si intrecciavano a vicenda. Così stavolta tutto prese forma e identità davvero a quattro mani, chiacchierando, inventando, facendo e rifacendo. Soprattutto guardandoci intorno, con una attenzione al mondo del tutto diversa da quella del disco genovese.
Il «dove» stavolta finì per essere l'Ottocento, l'Ottocento cattolico e borghese delle grandi utopie, del colonialismo e delle guerre senza senso, così simile per contenuti e scelte ai tempi odierni, in fondo solo un po' più veloci e molto più isterici.
Tutto quello che avevamo tra le mani di nuovo trovò peso e collocazione, dai ricchi ateniesi di Aristofane, così simili ai nostri, all'ignavia di Oblomov, dall'incanto malinconico di Čajkovskij alla saggezza un po' guittesca e senza tempo del secondino Pasquale Cafiero. »

Il titolo dell'opera è ripreso dalla commedia di Aristofane, Le nuvole; il collegamento lo esplicita lo stesso De André:

Collabora a Wikiquote « Le Nuvole, per l'aristocratico Aristofane, erano quei cattivi consiglieri, secondo lui, che insegnavano ai giovani a contestare; in particolare Aristofane ce l'aveva con i sofisti che indicavano alle nuove generazioni un nuovo tipo di atteggiamento mentale e comportamentale sicuramente innovativo e provocatorio nei confronti del governo conservatore dell'Atene di quei tempi. La Nuvola più pericolosa, sempre secondo Aristofane, era Socrate, che lui ha la sfacciataggine di mettere in mezzo ai sofisti.
Ma a parte questo, e a parte il fatto che comunque Aristofane fu un grande artista e quindi inconsapevolmente un grande innovatore egli stesso, le mie Nuvole sono invece da intendersi come quei personaggi ingombranti e incombenti nella nostra vita sociale, politica ed economica; sono tutti coloro che hanno terrore del nuovo perché il nuovo potrebbe sovvertire le loro posizioni di potere. Nella seconda parte dell'album, si muove il popolo, che quelle Nuvole subisce senza dare peraltro nessun evidente segno di protesta. »
(Fabrizio De André, 1990[5])

Di questo album esistono due videoclip, i primi girati su canzoni di De André, diretti dal regista Gabriele Salvatores: La domenica delle salme e Mégu megún; in quest'ultimo appare anche l'attore Claudio Bisio.

[modifica] Le canzoni

[modifica] Lato A

In quest'opera di De André la cesura tra le due facce dell'album è molto sentita ed evidente.

Il lato A, interpretato completamente in italiano (Don Raffaè compresa, trattandosi di un napoletano italianizzato e perfettamente comprensibile) inizia e termina con un canto di cicale, simbolo ironico del «coro di vibrante protesta» lanciato dal popolo italiano in risposta allo spadroneggiare dei potenti e alla perdita di identità e valori.

[modifica] Le nuvole

È il brano che dà anche il titolo all'album. Il testo non è cantato da De André, ma interpretato da due donne, una anziana ed una più giovane, che recitano sotto un tappeto sonoro intenso e sognante.

Collabora a Wikiquote « Ho scelto Lalla Pisano e Maria Mereu perché le loro voci mi sembravano in grado di rappresentare bene «la Madre Terra», quella, appunto, che vede continuamente passare le nuvole e rimane ad aspettare che piova. È messo subito in chiaro che «si mettono lì / tra noi e il cielo»: se da una parte ci obbligano ad alzare lo sguardo per osservarle, dall'altra ci impediscono di vedere qualcosa di diverso o più alto di loro. Allora le nuvole diventano entità che decidono al di sopra di noi e cui noi dobbiamo sottostare, ma, pur condizionando la vita di tutti, sono fatte di niente, sono solo apparenza che ci passa sopra con indifferenza e noncuranza per nostra voglia di pioggia... »
(Fabrizio De André [6])

[modifica] Ottocento

È un pezzo volutamente anacronistico, un'opera buffa che è un misto di vari generi musicali, tra cui anche un yodel alla tirolese. Anche l'interpretazione vocale di Fabrizio è piuttosto anomala: la voce del cantautore appare differente da quella alla quale il pubblico è abituato. De André riporta in un'intervista le motivazioni di questa scelta:

Collabora a Wikiquote « È un modo di cantare falsamente colto, un fare il verso al canto lirico, suggeritomi dalla valenza enfatica di un personaggio che più che un uomo è un aspirapolvere: aspira e succhia sentimenti, affetti, organi vitali ed oggetti di fronte ai quali dimostra un univoco atteggiamento mentale: la possibilità di venderli e di comprarli. La voce semi-impostata mi è sembrata idonea a caratterizzare l'immaginario falso-romantico di un mostro incolto e arricchito. »
(Fabrizio De André, 1990[5])

[modifica] Don Raffaè

Scritto con Massimo Bubola per il testo e Mauro Pagani per la musica, tra i brani più noti di De André, è interamente cantato in un napoletano maccheronico.[2]

La canzone è chiaramente ispirata al celebre brano di Domenico Modugno 'O ccafè, che viene citato nella musica e nel ritornello del testo (dove Ah che bello ccafè, sulo a Napule 'o sanno fà del cantautore pugliese diventa A che bello ccafè, pure in carcere 'o sanno fà).

Il testo presenta uno spaccato di vita carceraria, vista dalla parte di un secondino un po' analfabeta, il quale, vittima delle circostanze politiche, si rivolge al potere rappresentato da un boss della camorra in detenzione, Don Raffaè, per ottenere dei piccoli favori (domanda in prestito un completo per presenziare al matrimonio della figlia, chiede un lavoro per il fratello).

In altri termini la canzone è la parabola dello stato impotente («Prima pagina venti notizie, ventuno ingiustizie e lo stato che fa? Si costerna, s'indigna, s'impegna, poi getta la spugna con gran dignità») che si inchina a un'organizzazione delinquenziale che incarna il potere reale. [2]

Al celebre boss della camorra Raffaele Cutolo il pezzo (che riteneva ispirato una novella da lui stesso scritta in carcere) piacque a tal punto che dal penitenziario dove era detenuto fece arrivare a De André, attraverso una persona di fiducia, le sue congratulazioni.[7]

[modifica] La domenica delle salme

Una delle critiche politiche più forti e note incise dal cantautore genovese, un amaro resoconto di una società fatiscente che, dopo aver represso i pericolosi ideali rivoluzionari degli anni sessanta-settanta, lascia un incolmabile vuoto, una «pace terrificante» in realtà ben peggiore perché priva d'idee e virtù positive.

Collabora a Wikiquote « Quando il disco fu terminato Fabrizio se lo portò a casa e dopo qualche giorno mi telefonò. «Manca qualcosa, è tutto bello ma un po' troppo leggero, manca quello che pensiamo davvero di tutto questo, manca quello che purtroppo ci è accaduto». Così qualche giorno dopo partimmo per la Sardegna, e dopo aver fatto il pieno di bottiglioni di Cannonau ci nascondemmo all'Agnata, la sua tenuta in Gallura. Faber tirò fuori uno dei suoi famosi quaderni, e le cento righe di appunti quasi casuali, raccolti in anni di letture di libri e quotidiani, in tre giorni diventarono la descrizione lucida e appassionata del silenzioso, doloroso e patetico colpo di Stato avvenuto intorno a noi senza che ci accorgessimo di nulla, della vittoria silenziosa e definitiva della stupidità e della mancanza di morale sopra ogni altra cosa. Della sconfitta della ragione e della speranza.
Credo che nel testo de La domenica delle salme ci sia tutta la grandezza di Fabrizio narratore. Ci sono tutti gli elementi per capire, ma tutto è raccontato, non ci sono sintesi o giudizi, che, come lui diceva spesso, nelle canzonette sono peccati mortali. La visione del tutto scaturisce dalla somma di tante piccole storie personali, nessuno grida in quella ridicola tragedia. Nessuno punta il dito, tutto si spiega da sé.
E nell'elenco dei patetici fallimenti, come tutti i grandi Faber non dimentica il proprio e quello dei suoi colleghi canterini, giullari proni e consenzienti di una corte di despoti arroganti e senza qualità. »

Nel testo del brano De André cita il suo «illustre cugino de Andrade» in riferimento al poeta brasiliano Oswald de Andrade.

Collabora a Wikiquote « Tra i molti poeti sudamericani che conosco, Oswald de Andrade è uno dei miei preferiti, probabilmente per quel suo atteggiamento comportamentale oltre che poetico totalmente libertario, per quel suo anticonformismo formale che lo fa essere qualcosa di più e di meno e comunque di diverso da un poeta in senso classico. E poi è dotato di un umorismo caustico difficilmente riscontrabile in altri poeti dei primi del Novecento. »
(Fabrizio De André, 1990[5])

[modifica] Lato B

Cantato interamente in dialetto (due brani in genovese, uno in napoletano e uno in dialetto gallurese) è un po' la continuazione del viaggio etnico di riscoperta di un'identità culturale cominciato con Creuza de mä.

[modifica] Mégu megún

Collabora a Wikiquote « E mì e mì e mì / e anâ e anâ / e all'äia sciortî / e sûa sûa / e o chêu o chêu o chêu / da rebelâ / finn-a piggia, piggia / o tren o tren »

Brano in lingua genovese scritto con Ivano Fossati. La traduzione in italiano del titolo è "medico medicone". Il brano consiste nella lunga lamentela di un ammalato immaginario contro il suo medico, colpevole di volerlo far alzare dal letto. A spaventare il povero ipocondriaco è il contatto con la gente, la gente che fa domande, la gente sporca, la gente pronta a rubare i soldi con qualche stratagemma, la gente che, naturalmente, attacca le malattie, la gente che ti può far innamorare. Il tono è cupo: addirittura in un passaggio della canzone si riproduce il respiro affannoso del malato. Alla fine il paziente deciderà che per lui è meglio non uscire, e resterà, come un Oblomov, prigioniero del suo letto, intento a sognare. [6]

«la nova gelosia»
«la nova gelosia»

[modifica] La nova gelosia

Adattamento di un canto popolare napoletano del XVIII secolo. La gelosia sarebbe il serramento della finestra, la persiana nuova che impedisce all'amato di guardare la sua bella.

Collabora a Wikiquote « Fenesta co' 'sta nova gelosia [...]
tu m'annasconne
Nennella bella mia
lassamela vedé
sinnò me moro. »

Fabrizio scelse di includerla nell'album in preparazione dopo averla ascoltata in un'interpretazione di Roberto Murolo che lo affascinò.[1]

[modifica] 'Â çímma

Vero capolavoro dialettale di Fabrizio De André, scritto con Ivano Fossati. Il brano descrive poeticamente la preparazione d'un piatto tipico ligure, la cima appunto.

Ecco, a titolo d'esempio, l'inizio della canzone:

Collabora a Wikiquote (LIJ)
« Ti t'adesciâe 'nsce l'èndegu du matin
ch'á luxe a l'à 'n pé 'n tèra e l'átru in mà
ti t'ammiâe a ou spegiu de 'n tianin
ou çé ou s'ammià a ou spegiu dâ ruzà. »
Collabora a Wikiquote (IT)
« Ti sveglierai sull'indaco del mattino
quando la luce ha un piede in terra e l'altro in mare
ti guarderai allo specchio d'un tegamino
il cielo si guarderà allo specchio della rugiada. »
«li monti di mola»

[modifica] Monti di mola

Omaggio di De André alla sua terra d'adozione tanto amata, la Sardegna; monti di mola è infatti la denominazione gallurese della Costa Smeralda. Il brano è scritto in dialetto gallurese e narra teneramente l'impossibile amore tra un giovane e un'asina, irrealizzabile non tanto per la differenza di specie ma per un "problema burocratico":

Collabora a Wikiquote (SDN)
« Ma a cuiuassi no riscisini
l'aina e l'omu
ché da li documenti escisini
fratili in primu »
Collabora a Wikiquote (IT)
« Ma non riuscirono a sposarsi
l'asina e l'uomo
perché dai documenti risultarono
cugini primi »

Partecipa all'incisione del brano il gruppo sardo dei Tazenda, che effettua il controcanto nei ritornelli.[1]

[modifica] Tracce

  1. Le nuvole (Fabrizio De André/Mauro Pagani) - 2:16
  2. Ottocento (Fabrizio De André/Mauro Pagani) - 4:56
  3. Don Raffaè (Fabrizio De André/Massimo Bubola - Fabrizio De André/Mauro Pagani) - 4:08
  4. La domenica delle salme (Fabrizio De André/Mauro Pagani) - 7:35
  5. Mégu megún (Fabrizio De André/Ivano Fossati - Fabrizio De André/Mauro Pagani) - 5:22
  6. La nova gelosia (Anonimo napoletano, XVIII secolo) - 3:04
  7. 'Â çímma (Fabrizio De André/Ivano Fossati - Fabrizio De André/Mauro Pagani) - 6:18
  8. Monti di mola (Fabrizio De André/Mauro Pagani) - 7:45
Gli intermezzi prima e dopo Don Raffaè sono tratti da Le stagioni di P. I. Čajkovskij (Giugno opera 37 A) ed eseguiti da Andrea Carcano.

[modifica] Musicisti

Le nuvole
  • Orchestrazione e Direzione d'Orchestra di Piero Milesi
  • Livia Baldi, Stefano Barneschi, Maria Cristina Vasi, Emanuela Sfondrini, Brigid Sinead Nava, Debora Tedeschi, Elena Confortini, Martino Lovisolo, Carla Marotta, Giacomo Trevisani, Enrico Onofri, Carlo De Martini - violino
  • Anna Maria Gallingani, Sebastiano Borella Cristina Cassiani Ingoni, Carlo Goj - viola
  • Adriano Ancarani, Enrico Martinelli, Silvio Righini, Beatrice Cosma Pomarico, Jorge Alberto Guerrero, Caterina Dell'Agnello, - violoncello
  • Giuseppe Barbareschi, Roberto Bonati - contrabbasso
  • Giovanni Antonini, Michele Brescia - flauto
  • Francesco Pomarico - oboe
  • Sergio Orlandi, Umberto Marcandalli, Luciano Marconcini - tromba
  • Luca Quaranta, Maria Gabriella Giaquinta, Adelia Colombo, Gianfranco Scafidi - corno
  • Luisa Vinci, Alessio Nava - trombone
  • Nicola Zuccalà - clarinetto
  • David Searcy - timpani e triangolo
  • Lucia Vivien Pick, Diane Rama, Nadia Pellicciari (soprano), Giuseppe Lopopolo, Giuseppe Donno (tenore) - Carlo Proverbio, Bortolo Laffranchi, Alessandro Cairoli (baritono) - Lucio Folilela (basso) - coro
  • Lalla Pisano, Maria Mereu - voci
Ottocento

stessa formazione presente nel brano precedente, con l'aggiunta di:

Don Raffaè
La domenica delle salme
Mégu megún
La nova gelosia
'Â çímma
Monti di mola

[modifica] Note

  1. ^ a b c Note del disco
  2. ^ a b c Luciano Lanza. Intervista a Fabrizio De André (1993). [1]
  3. ^ Melisanda Massei Autunnali. Intervista a Mauro Pagani (06/08/2004). [2]
  4. ^ a b Mauro Pagani. Il sentiero delle parole, in AA.VV. Deandreide. Milano, BUR, 2006.
  5. ^ a b c Giancarlo Susanna. Stormy Weather. Intervista a De André (autunno 1990). [3]
  6. ^ a b Matteo Borsani, Luca Maciacchini. Anima salva. Mantova, Tre Lune. Le nuvole Mégu megún
  7. ^ Mauro Pagani. In direzione ostinata e contraria, servizio de La storia siamo noi, Rai Educational, 2006. [4]

[modifica] Altri progetti

[modifica] Collegamenti esterni

Fabrizio De André
Studio - Volume I (1967) · Tutti morimmo a stento (1968) · Volume III (1968) · La buona novella (1970) · Non al denaro, non all'amore né al cielo (1971) · Storia di un impiegato (1973) · Canzoni (1974) · Volume VIII (1975) · Rimini (1978) · L'indiano (1981) · Crêuza de mä (1984) · Le nuvole (1990) · Anime salve (1996)

Singoli - "Periodo Karim" (1961-66) · Il pescatore (1970) · Suzanne/Giovanna d'Arco (1972) · Una storia sbagliata/Titti (1980)


Live - In concerto-Arrangiamenti PFM (1979) · In concerto-Arrangiamenti PFM Vol. 2° (1980) · 1991 Concerti (1991) · In concerto (1999) · In concerto volume II (2001) · Ed avevamo gli occhi troppo belli (2001)

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