La luna e i falò
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La luna e i falò | |
Autore: | Cesare Pavese |
Anno (1a pubblicazione): |
1950 |
Genere: | Romanzo |
Sottogenere: | |
Ambientazione: | Langhe |
EDIZIONE RECENSITA | |
Editore: | Einaudi |
Collana: | Super ET |
Pagine: | 208 |
Capitoli | 32 |
ISBN | 8806174193 |
Progetto Letteratura |
La luna e i falò è un romanzo dello scrittore Cesare Pavese scritto in pochi mesi nel 1949 e pubblicato nella primavera del 1950. È da molti considerato un testo autobiografico dello scrittore piemontese ed è quello che conclude la sua carriera di narratore.
Indice |
[modifica] Trama dell'opera
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« C'è una ragione perché sono tornato in questo paese, qui e non invece a Canelli, a Barbaresco o in Alba. Qui non ci sono nato, è quasi certo; dove sono nato non lo so; non c'è da queste parti una casa né un pezzo di terra né delle ossa ch'io possa dire "Ecco com'ero prima di nascere". Non so se vengo dalla collina o dalla valle, dai boschi o da una casa di balconi. La ragazza che mi ha lasciato sugli scalini del Duomo di Alba, magari non veniva neanche dalla campagna.... Chi può dire di che carne sono fatto? Ho girato abbastanza il mondo da sapere che tutte le carni sono buone e si equivalgono, ma è per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi terra e paese, perché la sua carne valga e duri qualcosa di più che un comune giro di stagioni [1] » |
La storia è narrata dal protagonista, un trovatello soprannominato Anguilla che, dopo aver avuto fortuna dapprima in Italia a Genova e dopo in America, decide di tornare nella sua terra d'origine, anche se così non è, dato che era stato adottato. Qui si perde nei ricordi, spesso tristi, con continui flashback, che rivive con l'amico Nuto e capisce quanto sia importante per ognuno avere un paese, una famiglia, un punto di riferimento; questo Anguilla lo capisce quando, lontano dalla sua valle, viene richiamato alla sua patria da quel senso di appartenenza al suo paese che lui si porta dentro insieme a tanta nostalgia.
La storia inizia quando Anguilla ritorna nel suo paese, alloggiando all'albergo dell'Angelo, e ripercorre la sua infanzia dal momento in cui il Padrino e la Virgilia lo avevano trovato ai piedi del Duomo di Alba e lo avevano portato a casa loro, (probabilmente perché per questa adozione ricevevano dall'ospedale di Alessandria la mesata).
Quando Virgilia morì, Padrino decise di trasferirsi con le sue figlie, Angiolina e Giulia, a Cossano, vendendo il casotto della Gaminella, mentre Anguilla andò a vivere come servitore alla fattoria della "Mora", dove iniziò a lavorare per la prima volta.
Più tardi nel racconto si scopre la fine della sua famiglia adottiva: entrambe le “sorelle” si sposarono, Angelina però morì di tumore alle costole e Giulia folgorata da un fulmine, mentre Padrino morì molti anni più tardi. Intanto Anguilla trascorreva spensierato i sui giorni: c'era benessere in quel casale insieme a sor Matteo e alle tre figlie, Irene, Silvia e Santa (la più bella), ai quali si affezionò, anche se, tornato dall'America, preferisce non rivedere quel luogo.
Per prima cosa, invece, Anguilla va a vedere la casa del Padrino, rimasta uguale, tranne per un pino e per numerosi noccioli abbattuti, e conosce il nuovo proprietario, il Valino, e suo figlio, Cinto, un ragazzino con una malformazione alle gambe, la quale gli impedisce di muoversi agilmente. Quest'ultimo gli ricorda i tempi in cui era ragazzo, quando Nuto, più grande di lui, trattandolo sin da allora da amico, cercava di insegnargli tutto ciò che sapeva; Anguilla vuole fare lo stesso con Cinto, ovvero essere una guida per il ragazzo.
Trascorrono molto tempo insieme, nasce anche un'amicizia tra loro e Cinto sa di potersi fidare di Anguilla e proprio per questo quando il Valino uccide la nonna e la zia, dà fuoco alla casa e si suicida, il ragazzo va subito da Anguilla, che insieme a Nuto cerca di tranquillizzarlo.
Il protagonista però non prende il posto del padre, quando il ragazzo rimane orfano, ma lo affida a Nuto sicuro che avrebbe aiutato il ragazzo a crescere come aveva fatto con lui e decidono che se il ragazzo avesse imparato qualche mestiere, Anguilla lo avrebbe portato a Genova con lui.
Intanto il narratore adopera un flashback e ricorda la vita nel casale di sor Matteo e, con l'aiuto di Nuto, scopre anche la fine di Irene, Silvia e Santa.
La vita nel casale trascorreva normale e le figlie del sor Matteo crescevano spensierate e spinte dalla voglia di evadere dalla campagna, di essere accettate al di fuori della Mora. Mentre il giovane Anguilla le vede come esseri superiori, l'autore le dipinge in tutta la loro fragilità, nelle ambizioni e nelle speranze di giovani ragazze di campagna spezzate dalla vita e da un mondo che fuori della Mora non è così accomodante come poteva sembrare. Infatti Irene, la più grande e più timida, avrà un matrimonio infelice, si ammalerà di tifo e morirà qualche anno dopo, mentre Silvia, la più estroversa, avrà una serie di fidanzamenti burrascosi che la porteranno addirittura a Genova. Alla fine morirà per un aborto segreto.
Fin dall'inizio al protagonista rimane oscura la sorte di Santa, che Nuto gli rivela solo alla fine: una ragazza bella sin da quando era piccola, diventata spia prima dei tedeschi e dopo dei partigiani e in seguito giustiziata, ancora in tenera età.
È con la scoperta di questa triste vicenda che si conclude il romanzo, ma sicuramente non il viaggio di Anguilla, infatti egli decide di ripartire per Genova.
[modifica] Analisi dell'opera
Nel significato del titolo "La luna e i falò" vi è il chiaro riferimento mitico al ciclo delle stagioni che affianca tutte le vicende del destino dell'uomo. La luna, che ha qui funzione di simbolo, serve a scandire il ritmo dell'opera e ad instaurare il rapporto tra la terra e il cielo.
Il racconto è strutturato su due piani narrativi, quello dell'infanzia, con le sue scoperte e il desiderio di avventura e quello della maturità e della delusione.
Ai bagliori dei falò, che venivano accesi di notte durante le feste contadine e riflettendosi nel cielo rappresentavano per il bambino un momento magico e di scoperta, si contrappongono altri falò che comportano per il protagonista la perdita delle illusioni e la decisione di lasciare il paese.
Uno di questi falò è reso dall'autore in senso metaforico con l'episodio dell'incendio che il padre di Cinto appiccica al "casotto di Gaminella" distruggendolo insieme al passato e un altro fa riferimento a quanto accaduto a Santa. Ed è con le parole di Nuto che fanno riferimento alla fine della giovane che il romanzo si chiude.
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« ... gli chiesi se Santa era sepolta lì. - Non c'è caso che un giorno la trovino? Hanno trovato quei due... Nuto s'era seduto sul muretto e mi guardò col suo occhio testardo. Scosse il capo. - No, Santa no, - disse, - non la trovano. Una donna come lei non si poteva coprirla di terra e lasciarla così. Faceva ancora gola a troppi. Ci pensò Baracca. Fece tagliare tanto sarmento nella vigna e la coprimmo fin che bastò. Poi ci versammo la benzina e demmo fuoco. A mezzogiorno era tutta cenere. L'altr'anno c'era ancora il segno, come il letto di un falò. [2] » |
Il romanzo, che è dedicato all'ultima donna della sua vita, Constance Dowling, ha ispirato la seconda parte del film, diretto e sceneggiato da Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, intitolato Dalla nube alla Resistenza uscito nelle sale nel 1979 interpretato da Olimpia Carlisi, Guido Lombardi ed Ennio Lauricella. La prima parte del film è invece dedicata ai Dialoghi con Leucò.
[modifica] Personaggi
[modifica] Protagonista (Anguilla)
Il protagonista del racconto, di cui non è specificato il nome e di cui si conosce solo il soprannome Anguilla, è un trovatello,adesso ha circa 40 anni. Consapevole di esserlo, sa che la campagna e i luoghi dove ha passato tutta la giovinezza non gli appartengono, benché l'unica cosa che abbia imparato è la vita nei campi. Così comincia a sentire, da quando rimane a fissare il cielo aperto, che deve viaggiare e conoscere il resto del mondo (“volevo andare lontano […] ma che sia lontano, che nessuno del mio paese ci sia stato”). Dovunque vada però – Genova, diverse città in America e di nuovo la campagna – non si trova a suo agio, sentendosi solo e perduto e vedendo la sua vita un fallimento (“Capii che quelle stelle non erano le mie […] Valeva la pena essere venuto? Dove potevo ancora andare? Buttarmi dal molo?”).
[modifica] Nuto
Amico intimo del protagonista, deciso, scaltro e sapiente. È per il protagonista un ideale di vita, una persona che non smette mai di stimare per i suoi comportamenti, le cose che sapeva, il suo modo di parlare e di suonare. D'altra parte Nuto sta volentieri con l'amico, anche se non sempre lo capisce, in particolare quando comincia il travagliato periodo dei viaggi incessanti.
[modifica] Cinto
È un ragazzino con una malformazione alle gambe, la quale gli impedisce di muoversi agilmente e di condurre una vita al pari dei suoi coetanei. Egli impietosisce il protagonista, il quale cerca di interessarlo con i suoi racconti e di essergli amico, riconoscendo in Cinto la sua fanciullezza. Il protagonista però non prende il posto del padre, quando il ragazzo rimane orfano, affidandolo a Nuto e promettendo che l'avrebbe portato con sè quando sarebbe stato più grande.
[modifica] Irene, Silvia e Santina
Sono le tre padroncine del protagonista; sono tutt'e tre bellissime e contese da molti giovani, partecipano frequentemente alla vita mondana del paese, appartenendo anche ad un ceto di grado elevato. Irene però viene condannata ad un infelice matrimonio e in seguito muore per tifo; Silvia muore per un aborto segreto e Santina creduta spia delle ca' nere viene giustiziata da alcuni brescianini.
[modifica] Voci correlate
- Cesare Pavese
- Opere e poetica (Cesare Pavese)
- Ciau Masino
- Lavorare stanca
- Notte di festa
- Il carcere
- Paesi tuoi
- La bella estate
- La spiaggia
- Feria d'agosto
- Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
- La terra e la morte
- Dialoghi con Leucò
- Il compagno
- La casa in collina
- Il diavolo sulle colline
- Tra donne sole
- Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950
- Fuoco grande
- Il vizio assurdo
[modifica] Collegamenti esterni
[modifica] Note
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