Guerra dei sei giorni
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Guerra dei sei giorni | |||||||
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![]() Le fasi dell'attacco israeliano in Sinai |
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Schieramenti | |||||||
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Comandanti | |||||||
Yitzhak Rabin Moshe Dayan Uzi Narkiss Israel Tal Ariel Sharon |
Egitto: Abd al-Hakim Amer, Abdul Munim Riad Giordania: Sharif Zaid Ibn Shaker Siria: Hafiz al-Asad |
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Effettivi | |||||||
50.000 uomini (264.000 compresi i riservisti); 197 aerei |
Egitto: 150.000; Siria: 75.000; Giordania: 55.000; 812 aerei |
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Perdite | |||||||
679 morti;, 2.563 feriti; 15 prigionieri (dati ufficiali) |
21.000 morti; 45.000 feriti; 6.000 prigionieri (stime) |
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La guerra dei sei giorni ebbe inizio il 6 giugno 1967 e si annovera nella storia del conflitto arabo-israeliano come il terzo scontro militare. Fu combattuta tra Israele ed Egitto, Siria, Giordania. L'Iraq, l'Arabia Saudita, il Kuwait e l'Algeria appoggiarono con truppe ed armi la fazione dei paesei arabi. Il conflitto si risolse in pochi giorni a favore di Israele che occupò i territori palestinesi; l'esito della guerra influenza ancora oggi la situazione geopolitica del medioriente.
Indice |
[modifica] Antefatto
Le dinamiche che portarono allo scoppio della guerra furono un complesso intreccio di errori di calcolo di entrambe le parti. Una serie di avvenimenti degli anni precedenti sembrava, agli occhi di Israele, mettere in dubbio la situazione geo-politica definitasi nella regione dopo la crisi di Suez: la rinascita politica palestinese con la creazione dell'OLP nel 1964, con le prime operazioni militari dell'organizzazione guerrigliera palestinese al-Fath, e la salita al potere (1963) a Damasco dell'ala sinistra del partito Ba'th, favorevole alla guerra rivoluzionaria e che appoggiava i fedayyin. Questo contribuì a convincere gli israeliani della necessità di portare avanti una strategia dell'attacco preventivo.
L'atteggiamento israeliano, che si concretizzò tra la fine del 1966 e la primavera del 1967 in raid sulla Cisgiordania e la Siria, spinse l'Egitto a rispondere e a prendere l'iniziativa nel progetto, mai accantonato, di ristabilire l'assetto precedente alla crisi di Suez del 1956. Il 14 maggio 1967 l'esercito egiziano si dispose così sul Sinai, ed ottenne dall'ONU il ritiro dalla Penisola e dalla Striscia di Gaza: Israele perse così una delle principali conquiste politiche del 1956. Il 22 maggio chiuse gli stretti di Tiran, passo che gli israeliani avevano preannunciato di considerare casus belli. Nasser era pronto, almeno a parole, ad affrontare una guerra ma decisamente sottostimava la potenza militare di Israele, a cui invece per agire mancava solo l'appoggio politico dell'Occidente. Questo aspetto era in effetti delicato, poiché nel 1956 gli Stati Uniti si erano adoperati per mantenere lo status quo.
Nei giorni successivi Nasser intensificò la sua propaganda anti-israeliana, che condizionerà molto l'opinione pubblica occidentale. L'attività di propaganda egiziana mirava a costituire un blocco sempre più ampio di paesi arabi "progressisti" nell'azione anti-israeliana, includendo in prospettiva perfino l'Arabia Saudita, isolando l'Iran "conservatore" e filo-occidentale. In questo modo il contrasto tese ad uscire dalla dimensione regionale e a delinearsi come una partita che decideva l'influenza sull'area vicino-orientale (e le sue risorse petrolifere) dei due blocchi occidentale e sovietico. L'Urss infatti appoggiava da tempo l'Egitto, anche se faceva pressione su Nasser affinché agisse con prudenza e non scatenasse l'ostilità. D'altronde le ipotesi di mediazione da parte di Stati Uniti e Regno Unito, che puntavano sulla riapertura degli stretti di Tiran, si scontravano con la linea dura del Cairo.
Il1 giugno il presidente israeliano Eshkol cedette alle pressioni del comando militare (l'allora generale Ariel Sharon aveva addirittura ipotizzato verbalmente un colpo di Stato militare) e formò un governo di unione nazionale. Gli Stati Uniti a questo punto autorizzarono tacitamente un'iniziativa militare di Israele. Gli eserciti arabi ammassati ai confini e il precedente divieto di navigazione dello stretto di Tiran furono però le vere cause del timore dell'estabilishment israeliano di un imminente attacco da parte egiziana.
[modifica] La sintesi del conflitto
Il 5 giugno 1967 l'aviazione israeliana lanciò a sorpresa un attacco contro le forze aeree dell'Egitto e della Siria, annientandole quasi completamente a terra. Dopo che Israele ebbe occupato la striscia di Gaza ed il Sinai, arrivò fino al Canale di Suez, circondando un'intera armata dell'esercito egiziano e costrinse l'Egitto a capitolare l'8 giugno. A questo punto le forze israeliane si rivolsero verso la Siria che era pronta con il suo esercito ad attaccare Israele, di cui occuparono in chiave difensiva il Golan. Il 10 giugno le ostilità cessarono, ed Israele vide la propria estensione geografica quadruplicata, portando a proprio favore la situazione politica in Vicino Oriente, con effetti anche nei rapporti internazionali tra le grandi potenze.
[modifica] Conseguenze
La Siria perse le alture del Golan, l'Egitto la palestinese Gaza che occupava dal 1948 e la penisola del Sinai fino al canale di Suez, mentre Israele prese alla Giordania, l'insieme delle sue conquiste del territorio palestinese ottenute nel 1948.
L'annessione di Gerusalemme sarà ratificata all'indomani del conflitto, indicando la volontà d'Israele di conservare in tutto o in parte le sue conquiste.
Gli Stati Uniti, a differenza di quanto era accaduto nel 1956, quando avevano preso le parti dello Stato ebraico, chiedevano il ritiro senza condizioni dai territori che erano stati occupati. Israele invece sperava di aprire, sullo scambio di territori, una porta alla pace ma i Paesi arabi si riunirono alla conferenza di Karthum e opposero un netto rifiuto.
Fu trovato dalle grandi potenze un compromesso: la "risoluzione 242" delle Nazioni Unite che subordinava il ritiro israeliano dai Territori Occupati allo stabilirsi di una pace "giusta e duratura" e alla cessazione delle attività terroristiche da parte dei palestinesi. Israele vi aderì, anche se malvolentieri, seguita da Nasser e da re Husayn di Giordania, mentre i palestinesi che avevano l'appoggio della Siria la rifiutarono.
Subito dopo il cessate il fuoco i contendenti ricominciarono ad armarsi e nel 1969 Gamāl ‘Abd al-Nāser armò le milizie popolari e lanciò una guerra di logoramento che durò un anno e registrò molti morti. I contendenti rimasero fermi sulle loro posizioni e le diverse mediazioni non arrivarono a nulla.
Iniziò il nuovo esodo di palestinesi che andavano ad ingrossare la massa di profughi del conflitto del 1948 (oltre agli 800 000 profughi ebrei espulsi dai paesi arabi confinanti in seguito alla guerra dichiarata da Egitto, Siria, Libano ed Iraq) e i drusi che abitavano l'altopiano del Golan occupato da Israele il 9 giugno 1967, malgrado il cessate il fuoco con la Siria, dovettero prendere la strada di Damasco e delle regioni meridionali del Jebel druso, con le sue città di Bosra e di Suwayda.
Nasser intanto, il 9 giugno, aveva dato le dimissioni (poi subito ritirate a seguito delle pressioni da parte dell'opinione pubblica egiziana) ma il nasserismo (e la relativa ideologia panaraba egiziana) non sopravvisse alla sconfitta.
La guerra dei sei giorni rovesciò in modo decisivo i dati di un conflitto ed avrà conseguenze di lungo periodo. Nella metà degli anni settanta si costituirà il "fronte del rifiuto", quando alcune organizzazioni del FPLP, capeggiate da George Habbash, abbandonarono l'OLP per sostenere una linea di completo rifiuto del riconoscimento di Israele, in questo appoggiate da Libia e Iraq.
[modifica] Bibliografia
- Pier Giovanni Donini. I Paesi arabi. Roma, Editori riuniti, 1983.
- H. Mejcher, Sinai. 5 giugno 1967. Il conflitto arabo-israeliano. Bologna, il Mulino, 2000.
- François Massoulié. I conflitti in Medio Oriente. Firenze, Giunti, 2001.
- Vito Cirillo. Il Medio Oriente. Roma, Ardesia Edizioni, 2006.