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Federigo Tozzi - Wikipedia

Federigo Tozzi

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Federigo Tozzi

Federigo Tozzi (Siena1º gennaio 1883 – Roma21 marzo 1920) è stato uno scrittore italiano.

Indice

[modifica] Biografia

Federigo Tozzi nacque a Siena il 1° gennaio 1883, da Federico e Annunziata, donna molto tranquilla ma malata di epilessia. Il padre di Tozzi, di origini contadine, possedeva una trattoria in via dei Rossi e due poderi nei dintorni di Siena; era un uomo molto abile negli affari ma piuttosto rude: i suoi momenti di collera e il suo disprezzo verso la cultura provocarono molti traumi a Federigo, dotato di una sensibilità fuori dal comune. I contatti del ragazzo con la scuola si rivelarono subito difficili. Tozzi frequentò la scuola elementare in seminario e in seguito il collegio arcivescovile di Provenzano, da cui fu espulso nel 1895, anno in cui morì anche sua madre; si iscrisse allora alla scuola delle Belle Arti, dove trascorse tre anni piuttosto burrascosi. Fu riacciuffato a Certaldo. Pur studiando in modo saltuario e molto disordinato, sviluppò un grande amore per la lettura cominciando a frequentare la biblioteca comunale di Siena, dove formò la sua cultura aperta ai più diversi influssi, soprattutto quelli della moderna psicologia. Dopo un'ultima delusione 1902 abbandonò per sempre gli studi regolari. Sempre al 1902 risale l'inizio dello scambio epistolare con una Annalena, senhal che Novale, raccolta di epistole, pubblicata postuma come diario intimo dell'autore, ha poi dimostrato nascondere l'identità della futura moglie di Tozzi, Emma Palagi. Sempre in questi anni iniziò il suo rapporto con una contadina alle dipendenze di famiglia, Isola, la futura Ghìsola di Con gli occhi chiusi.

L'opera di esordio di Tozzi fu in versi e si intitolò la "Città della Vergine"; in seguito divenne il curatore di alcune antologie di antichi scrittori senesi. Volendosi allontanare da Siena, nel 1907 iniziò a lavorare nelle ferrovie, a Pontedera e a Firenze: in seguito a questa esperienza nacque un "diario", "Ricordi di un giovane impiegato", poi pubblicato da Borgese con il titolo "Ricordi di un impiegato".
Tornò a Siena a causa della morte del padre nel 1908 e da allora iniziò a scrivere le novelle di Bestie e i suoi romanzi più famosi, ovvero [["Con gli occhi chiusi"]] e "Il podere". Nello stesso anno sposa Emma Palagi e insieme a lei cominciò una attività letteraria più intensa. Del 1911 sono le liriche di "La zampogna verde". Nel 1913, fondò insieme al suo amico Domenico Giuliotti la rivista quindicinale "La Torre".

In quello stesso periodo Tozzi si trasferì a Roma con la moglie e il figlio Glauco, e cominciò a collaborare a diversi giornali e a varie riviste letterarie, mentre l'Italia entrava in guerra. Nel 1915 pubblica "Bestie", presso l'Editore Treves, già editore di D'Annunzio. Nello stesso anno, a causa della guerra, Tozzi decide di lavorare presso la Croce Rossa.

È questo finalmente il periodo in cui riesce ad affermarsi e ad entrare in contatto con i maggiori scrittori e intellettuali dell'epoca, (da Panzini a Pirandello, Borgese): nonostante questo la sua vita non era affatto facile. Pirandello e Borgese furono coloro che maggiormente credettero in lui. Nel 1919, Tozzi aveva pubblicato "Con gli occhi chiusi", che fu messo in ombra da "Tre croci" del 1920, anno in cui viene pubblicato anche "Gli egoisti", un romanzo autobiografico imperniato sull'ambiente letterario romano. "Con gli occhi chiusi" viene considerato come uno dei romanzi maggiormente espressivi del primo dopoguerra. Tozzi infine raggiunse la notorietà quando Borgese giudicò come capolavoro del realismo il suo ultimo libro, "Tre croci". Era l'inizio del 1920: poco tempo dopo lo scrittore morì di polmonite.

Tozzi lasciò le sue opere per lo più inedite oppure disperse tra giornali e riviste: spettò al figlio Glauco il riordinamento del materiale che fu, in parte, pubblicato postumo: "Il podere" esce nel 1921, "Gli egoisti" nel 1923 e "Ricordi di un impiegato" viene pubblicato nel 1927.
Lo scittore senese fu riscoperto dal grande pubblico molto tardi, negli anni ’60, probabilmente a causa dell'errata interpretazione delle sue opere, viste come tardi epigoni veristi. Solo la recente critica ha capovolto la visione di un Tozzi realista proponendolo come scrittore di stampo profondamente psicologico e vicino al simbolismo, paragonandolo a livello europeo alla prosa di Kafka e Dostoevskij.

[modifica] Le opere

Le opere di Federigo Tozzi esigono una certa maturità di lettura. Gli ostacoli che si trovano nella sua prosa spesso impediscono una lettura gradevole; talvolta è scostante, non fa nulla per incantare il lettore. Il principale ostacolo è la profonda tristezza del mondo che descrive. Tozzi richiede collaborazione per superare questa barriera e per entrare nella sua poetica; mette di fronte il lettore, in prima persona, attraverso gli occhi dei contadini, a esperienze di vita dei campi.

[modifica] Con gli occhi chiusi

Per approfondire, vedi la voce Con gli occhi chiusi (romanzo).

È il romanzo di Tozzi più vicino al frammentismo vociano. Ha una struttura narrativa spesso definita "imperfetta". A volte infatti sembra smarrire il filo logico con distrazioni e digressioni. Non c'è più una gerarchia di momenti privilegiati o secondari. I personaggi sono studiati attraverso la psiche: non hanno spina dorsale, né scheletro o impalcatura; tra loro manca solidarietà. I personaggi principali risultano addirittura sfocati.

L'andamento della vicenda procede per salti e scarti repentini, seguendo, come nei romanzi di Svevo, ciò che detta la coscienza.
La trama rivela un profonda concezione pessimistica della vita: tra i personaggi regna l'incomunicabilità, in tutto il romanzo è forte la presenza del male.
Con gli occhi chiusi ottenne, come tutte le opere di Tozzi, un riconoscimento critico piuttosto limitato, benché gli scrittore di "Solaria" e "Campo di Marte" segnalarono il romanzo. Insieme a "Tre croci" il romanzo fu apprezzato per la modernità degli approfondimenti psicologici.

[modifica] Tre croci

Per approfondire, vedi la voce Tre croci.

Il romanzo fu apprezzato più dal pubblico che dalla critica e mise in ombra "Con gli occhi chiusi". La critica, invece, considera "Tre croci" meno poetico del precedente, ma più epico perciò più attraente per i lettori. Come dice Carlo Cassola:

Sono soprattutto due i romanzi importanti di Federigo Tozzi: "Con gli occhi chiusi" e "Tre Croci". I letterati preferiscono il primo; la gente comune il secondo. Il primo romanzo non diventerà mai popolare; il secondo lo diventerà, quanto meno ha i numeri per diventarlo.
La gente comune ama i romanzi, e "Tre Croci" è più romanzo di "Con gli occhi chiusi". Con gli occhi chiusi è più poetico, ma meno epico dell'altro.
A questo punto mi accorgo che è necessaria una spiegazione generalissima: in che consiste la differenza tra le due fondamentali espressioni letterarie, la lirica e l'epica? Uso apposta la parola epica, benché ai nostri tempi la sola forma dell'epica sia la narrativa, perché nessuno possa cavarsela dicendo che la prima è in versi e la seconda in prosa.
Certo che il romanzo è in prosa; ma il poema epico, che lo ha preceduto nel tempo, assolvendo la stessa funzione? La "Commedia", tanto per fare un solo esempio, è in versi, eppure non ha niente a che vedere col "Canzoniere" del Petrarca, e con la stessa poesia amorosa di Dante. Quest'ultima appartiene al genere lirico, mentre la "Commedia" all'epico.
Allora, qual è la differenza? Che il poeta lirico parla di sé, mentre il poeta epico parla degli altri. Bisogna però che questi altri non siano proiezioni dell'autore, come accadde per parecchio tempo allo stesso Tozzi.

[modifica] Il podere

In questo romanzo Tozzi cerca di recuperare, pur senza rinnegare le sue precedenti innovazioni, uno stile e una forma più tradizionali. Descrive un mondo di ansia, angoscia e paura determinato dall'impatto con la realtà che è minacciosa, incombente, aggressiva. È un mondo fatto di traumi, ferite sempre aperte, lesioni profonde della personalità. I personaggi non ne hanno la cognizione, ma ne vengono influenzati e si comportano illogicamente grazie a questi impulsi inconsci. Contrariamente a quanto ritiene la maggioranza degli accademici, quali il prof. Luperini, il prof. Fedeli ha esaminato l'opera del Tozzi in quest'originale ottica: come una lucida opera di un lucido scrittore reazionario. Il saggio del prof. Fedeli è "Il realismo di Tozzi"; su tale saggio, proprio per la sua coerenza(?) all'autore e alla sua opera, è caduto il silenzio accademico.

[modifica] Tozzi e la psicanalisi

L’opera di Tozzi, valutata nel suo complesso, segna una tappa importante nella storia della narrativa italiana del Novecento perché, proponendo una forma di romanzo tutta ripiegata sull'interiorità umana, si colloca fra la dissoluzione del naturalismo ottocentesco e le nuove dimensioni poetiche e psicanalitiche (dal simbolismo al recupero memoriale di Proust.)
Tozzi tuttavia non conosce Freud, giunge a conclusioni analoghe perché è uno scrittore "primitivo" che ha antenne per captare fenomeni culturali più ampi, è dotato di una grande potenza intuitiva. Senza molti strumenti si proietta in altre realtà. Tozzi si interessa molto di psicologia, ma non fa psicanalisi; la realtà gli si impone con la violenza massiccia dell'incubo dell’esperienza personale per poi essere ritrasportata, sempre sotto forma di incubo, nelle sue opere.

[modifica] Il tema dell'Inettitudine

Tozzi viene recuperato dalla critica a partire dagli anni'60, prima era considerato solo un narratore verista-regionalista, da allora invece si mette in luce anche la sua vena lirica. Tozzi utilizza le forme tradizionali del realismo solo per esprimere una sua particolare visione della realtà che ruota intorno all’inettitudine come inadeguatezza dell’individuo a reggere nuove richieste che la vita gli fa. I personaggi tozziani sono "incapaci di…". Nei romanzi di Tozzi di trova una sorta di rappresentazione lirica dello sbandamento dell'uomo di fronte alla cose. In questo Tozzi ricorda molto Joyce (Ulisse), Musil (L’uomo senza qualità), Kafka (Il processo), Svevo (La coscienza di Zeno, Una Vita) e Mann. Tozzi si inserisce in questa scia calando in questa prospettiva l’ambito in cui vive, cioè Siena.

[modifica] La Siena di Tozzi: una città simbolica

Lo stato d'animo come chiave di lettura della città e quindi anche delle descrizioni di città può essere un criterio per una lettura dei più famosi romanzi di Federigo Tozzi. Piuttosto apprezzato dai contemporanei (ad ex. Pirandello) soprattutto per il suo interesse ai particolari psicologici e per la sua visione "da dentro" delle vicende, fu però anche accusato di autobiografismo ed "eccessi psicologici".

Dopo la sua morte una parte delle critica (Borgese, Russo, etc.) pose l'accento principalmente sul confronto del modello verista o addirittura regionalista, perdendo di vista il vero obiettivo di Tozzi, cioè quello di rappresentare le vicende psichiche che portano i suoi personaggi all'inettitude; mentre gli intellettuali di Solaria cercarono di recuperarne la prospettiva europea, riconoscendo nelle tematiche da lui sviluppate collegamenti con grandi scrittori come Kafka, Müsil, Joyce, Mann, Svevo, Proust.

La critica moderna mette oggi in risalto altri aspetti di Tozzi, come l'espressionismo, la rappresentazione allucinata della realtà, le "patologie psicologiche" dei personaggi (grazie all'intervento di Giacomo Debenedetti con Il personaggio uomo), la centralità dell'io e il "realismo-simbolico".

Tozzi infatti utilizza le forme tradizionali del realismo per esprimere una sua particolare visione della realtà (in particolare circa il problema dell'inadeguatezza, della difficoltà a vivere, della piccolezza) calando in questa prospettiva l'ambito in cui vive, cioè Siena (oppure Roma ne Gli Egoisti).

L'opera tozziana, come fa notare Pasquale Voza (1985), è un'incessante interazione tra spunti regionali e significati universali (espressioni dello stesso Tozzi), dove il microcosmo si dilata fino ad inglobare il macrocosmo.

Anche l'aspetto autobiografico, talvolta messo al centro della produzione di questo autore, passa in secondo piano pur non perdendo di importanza: è solamente un'altra metafora per porre con forza e angoscia l'idea della difficoltà della vita.

Molto evidente, infatti, è l'analogia fisico-psichica tra l'inettitudine, il torpore dell'anima di molti dei personaggi dei romanzi di Tozzi (primo fra tutti Pietro, il protagonista di Con gli occhi chiusi) e la descrizione di alcuni scorci di Siena, raffigurata spesso come tutta raccolta in sé e inaccostabile. La realtà provinciale in cui si muovono i personaggi fa da sfondo alla loro destino di solitudine e cecità.

Stava a giornate intere, solo, in casa; guardando, con la faccia sui vetri, il sottile rettangolo di azzurro tra i tetti. Quell'azzurro sciocco, così lontano, gli metteva quasi collera; [...]E allora sentiva il vuoto di quella solitudine rinchiusa in uno dei più antichi palazzi di Siena, tutto disabitato, con la torre mozza sopra il tetro Arco dei Rossi; in mezzo alle case oscure e deserte, l'una stretta all'altra; con stemmi scolpiti che nessuno conosce più, di famiglie scomparse. (Con gli occhi chiusi)

E anche quando la città offre i suoi lati migliori, più aperti e più belli, questi servono solamente da sfondo di contrasto con la psicologia di tali personaggi, acuendo addirittura il loro senso di smarrimento di fronte alla vita.

Andava verso la città sovra la quale si raccoglieva una dolcezza d'azzurro, tra le colline l'una più soave dell'altra. Quella bellezza meravigliosa l'umiliava (Con gli occhi chiusi)

Il rapporto tra Tozzi e la sua città natale è sempre stato ambivalente, potrebbe assomigliare allo struggimento di un innamorato tradito. Tozzi ha amato Siena nei suoi vicoli storti e nei suoi baratri scoscesi, nelle sue piazze ariose e nelle torri slanciate, ma da Siena ha sempre cercato di fuggire, sia per le poche opportunità che offriva (allora come oggi) sia per evadere da ciò che Siena rappresenta nel suo immaginario, cioè l'immobilità, la tradizione, l'abitudine.

Siena come habitus, come una droga, un narkoticon che spenge ogni iniziativa inebriando i suoi abitanti di sé stessa e della sua indubitabile bellezza.

La mia anima, per aver dovuto vivere a Siena, sarà triste per sempre: piange, pure che io abbia dimenticato le piazze dove il sole è peggio dell'acqua dentro un pozzo, e dove ci si tormenta fino alla disperazione.
Ma i miei brividi al tremolio bianco degli olivi! E quando io stavo fermo, anche più di un'ora, senza saper perché, allo svolto di una strada, e la gente mi passava accanto e mi pareva di non vederla né meno!
Città, dove la mia anima chiedeva l'elemosina, ma non alla gente! Città, il cui azzurro mi pareva sangue! (Bestie)

Una droga da cui Tozzi non riuscirà mai a liberarsi, neanche a contatto con le grandi città come Firenze e soprattutto Roma, nelle quali vedrà sempre, come allucinazioni, riflessi della sua Siena. Questo rapporto conflittuale caratterizza anche i comportamenti di molti dei personaggi di Tozzi: per questo le sue scenografie non sono solo "ad alto coefficiente pittorico" piuttosto tendono a realizzare "un progetto speculativo diretto ad interpretare il destino dei suoi personaggi" (Jeuland-Meynaud, 1991).

Il vento frusciava nei giardini e negli orti a piedi delle case, dentro la cinta delle mura di Siena. Si sentiva chiudere qualche persiana sbattendo; e c'era un piccolo eco affilato e rauco che ripeteva pazientemente in fondo agli orti quel rumore; come se andasse ad appiattirsi laggiù; dove gli archi della fonte di Follonica s'interrano fino a mezzo; impiastricciati di muschi che si sfanno con il tartaro dell'acquiccia. L'erta delle case, silenziose, morte, non sentiva le foglie di un gran tiglio, sotto la finestra della camera, staccarsi l'una dopo l'altra, senza che potessero smettere più (Tre Croci)

Le "cose" descritte dal Nostro non sono mai statiche e prive di vita, anzi, partecipano attivamente alle azioni diventandone parte integrante in quanto "gli elementi della realtà sono compartecipi del vivere umano, in un sodalizio intimo che li definisce attori a pino titolo dell'evento". (Jeuland-Meynaud, 1991)

In "Con gli occhi chiusi", però, Pietro alla vista della prossima maternità di Ghisola fugge dal mondo che la sua immaginazione si era andato creando, riuscendo a interporre una distanza tra la realtà e la visione quasi onirica; mentre i fratelli Giambi, protagonisti di "Tre Croci", vedono in tutto ciò che li circonda solo inganno, lussuria, gola, sovrapponendo così in modo definitivo i due campi e perdendo la loro identità.

In tutta l'opera di Tozzi, ma soprattutto in quest'ultimo romanzo, sembra esistere soltanto il mondo interiore del personaggio: tutto ciò che ne è al di fuori è solamente la dilatazione dell'interiorità dell'attore. L'uomo e le sue emozioni diventano la misura e la dimensione del mondo, un po' come in Malraux, Sartre, Camus, Durrell e altri.

Questo processo empatico si può facilmente notare anche in "Bestie" se "il libro non viene letto come frammenti di storie possibili ancora allo stadio embrionale, ma come l'unica possibile vicenda di un io frantumato e diviso nei suoi innumerevoli e rapidissimi stati d'animo". (Dedola, 1990)
Per "Bestie" l'analogia fisico-psichica si allarga: non più solo uno scenario cittadino come secondo termine di paragone, ma ogni elemento che, allo stesso tempo, può essere segno e simbolo di un'emozione.

Ecco la sera, quando le cose della stanza doventano pugnali che affondano nella mia anima; maniche che mi attendono.
Qualche altra volta mi erano sembrate - libri, tavoli, sedie, tagliacarte, cuscini, lampade, pareti - poemi immensi.
Mai, in nessun modo, sono riescito ad essere indipendente dinanzi a loro. (Bestie)

La percezione diventa più importante dell'oggetto percepito, il personaggio è colui che filtra le cose attraverso i suoi stati d'animo. Spesso le descrizioni sono allucinate perché la scissione sta proprio nel personaggio stesso che non riesce a distinguere la dimensione interna da quella esterna. Proprio questa "disgregazione psichica" porta i personaggi tozziani all'inettitudine e all'incapacità di agire.

[modifica] Bibliografia

  • Rossana Dedola, Tozzi. Storia della critica, Bagatto libri, 1990
  • Pasquale Voza, Tozzi tra paese ed Europa, in: AA. VV., Per Tozzi, Editori Riuniti, Roma, 1985
  • Cristof Weinand, La città simbolica in Federigo Tozzi, in: Symbolon, Anno II, numero 3-4.
  • Ruggero Puletti, Federigo Tozzi: la provincia come confino, in: AA. VV., Per Tozzi, Editori Riuniti, Roma, 1985
  • Jeuland-Meynaud M., Lettura antropologica della narrativa di Federigo Tozzi, Roma, Bulzoni Editore, 1991


[modifica] "Bestie"

Si tratta di una raccolta di brevissimi racconti, giustamente definiti "frammenti lirici", che hanno in comune il riferimento, spesso nelle battute finali, ad una bestia. Sono racconti, appunto, lirici, carici d'introspezione e densi di suggestioni. Spesso si riferiscono a situazioni realmente vissute dall'autore a cui, ad un certo punto, si aggiunge, in apparenza senza alcuna connessione, la presenza dell'animale. Guardando meglio, tuttavia, ci si accorge di come spesso una connessione ci sia:la bestia rappresenta, il più delle volte, lo stesso Tozzi, il suo stato d'animo. Inoltre il riferimento alla bestia sembra quasi far ridestare l'autore da un sogno, riportandolo alla concretezza delle cose, alla loro materialità. E non deve apparire cosa strana questa impersonificazione, giacché le bestie inserite da Tozzi sono animali del quotidiano, sono i piccoli animaletti che costellano tutti i suoi ricordi.

[modifica] Collegamenti esterni

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