Storie di san Francesco
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Le Storie di san Francesco sono un ciclo pittorico collocato nella parte inferiore dell'unica navata della Basilica superiore di Assisi. Fu intrapreso subito dopo il 1296 (cioè dopo la realizzazione delle Storie dell'Antico e del Nuovo Testamento, presenti nella fascia superiore della navata).
La tradizione storiografica, a partire dalle testimonianze più antiche (Riccobaldo Ferrarese, Ghiberti e Vasari), indica negli affreschi del ciclo francescano la mano di Giotto. In uno dei testi più citati, quello del Ghiberti, troviamo: "Dipinse nella chiesa d'Asciesi nell'ordine de' frati minori quasi tutta la parte di sotto", il che è stato inteso da molti come una indicazione del ciclo francescano lungo la fascia in basso della Basilica Superiore, mentre chi non crede che Giotto ne sia l'autore, lo intende come riferimento solo alla Basilica Inferiore. Giorgio Vasari nelle Vite afferma che Giotto fu chiamato da Giovanni Mincio da Morrovalle che fu generale dell'ordine francescano dal 1296 al 1304 date entro le quali furono dipinti gli affreschi.
Studi più recenti (Bruno Zanardi o Federico Zeri) misero però in dubbio l'attribuzione di tutto il ciclo, che sarebbe opera di maestri romani, indicando la mano di Giotto soltanto negli affreschi della Basilica inferiore, gli unici che mostrano la medesima tecnica pittorica degli affreschi di Padova. La "questione giottesca" di Assisi è tutt'ora aperta, ma gli studiosi, dopo i tentennamenti iniziali, sembrano ormai più propensi a mantenere l'attribuzione tradizionale a Giotto, per l'inconfondibile maniera di organizzare le scene, la padronanza della prospettiva intuitiva negli sfondi, il realismo, l'eloquenza senza fronzoli dei gesti e delle fisionomie.
Indipendentemente dal fatto che si tratti di Giotto o di un altro pittore, le scene non mostrano sempre la stessa qualità esecutiva, per cui furono sicuramente dipinte da più mani all'interno dello stesso cantiere con la supervisione di un protomagister. L'importanza del Ciclo francescano sta comunque nelle soluzioni formali rivoluzionarie. Con un sapiente dosaggio del chiaroscuro si rende l'evidenza plastica delle figure, mentre l'uso di architetture scorciate che svolgono il ruolo di quinte prospettiche creano degli spazi praticabili in cui i personaggi si muovono con naturalezza e coerenza, ad esempio possono girarsi di spalle rispetto all'osservatore cosa prima inconcepibile. La composizione è libera dagli schematismi e simmetrie della pittura precedente, anche se accanto a scenari naturali ed architettonici realistici troviamo ancora delle rappresentazioni dal gusto arcaico e non tutti gli scorci sono resi con la stessa sicurezza: più incerte appaiono le città dipinte in lontananza e gli edifici delle prime tre campate della parete sinistra.