Giacomo da Lentini
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Giacomo da Lentini (conosciuto anche come Jacopo da Lentini; XIII secolo – ...) è stato un poeta italiano.
[modifica] Cenni biografici
«Jacobus de Lentino domini imperatoris notarius»: così si firma in un documento messinese del 1240 il funzionario della corte di Federico II che Dante poi chiamerà il "Notaro" per antonomasia (vedi Divina Commedia, Canto XXIV Purgatorio, 56).
Si conoscono altri atti da lui sottoscritti in varie città del meridione d'Italia. Purtroppo non si hanno sulla sua vita che pochissime informazioni.
Fu probabilmente lo "Iacobus de Lentino" comandante del castello di Garsiliato (Caltanissetta), nominato in un documento dell'aprile 1240.
Al "Notaro" si attribuiscono 16 canzoni di vario schema, 22 sonetti (egli è considerato l'inventore di questa forma strofica); 2 dei sonetti sono in "tenzone" con l'Abate di Tivoli, uno risponde a Jacopo Mostacci. Si deve alla sua iniziativa la rivisitazione in lingua volgare dei temi e delle forme della poesia provenzale, dando così inizio alla lirica d'arte italiana.
È considerato il "caposcuola" dei rimatori della cosiddetta Scuola siciliana, ruolo che gli fu assegnato da Dante (Purg. citato) e che trova riscontro nella collocazione delle sue Canzoni in apertura del Canzoniere Vaticano latino 3793. Nel De vulgari eloquentia è citato per una sua canzone che viene portata quale esempio di uno stile limpido e quanto mai ornato. I suoi componimenti coprono un arco temporale che va dal 1233 al 1241.
La corte di Federico II, nei ristretti termini cronologici in cui essa si colloca, rappresentò il modello letterario che più si staccava da quelli sino ad allora erano rappresentati nel resto dell'Italia. Il panorama letterario, era dominato soprattutto dai nobili che vi facevano ingresso perché tali. Nella Corte di Federico, l'apporto letterario fu dato dai Suoi amministratori.
È proprio questa novità, che vede nascere figure come Jacopo da Lentini, Rinando d'Aquino, Pier delle Vigne, Guido e Oddo delle Colonne, Giacomino Pugliese, Jacopo Mostacci, l'abate Tivoli, ed altri ancora, nonché lo stesso Federico ed i figli. Nella Magna Curia, Jacopo ricopre il ruolo di Notaro dal 1233 al 1240 circa, uniche testimonianze di quest'attività all'interno della Corte federiciana, risalgono ad una lettera che egli scrisse al papa Gregorio IX, di suo pugno. La sua attività letteraria all'interno della Corte lo porta ben presto a rappresentarne il massimo esponente. Dante nella Divina Commedia, lo designa il Notaro poeta per antonomasia.
L'attività di Jacopo e della Scuola Siciliana, s'impronta sulla poesia d'amore. Si narrano solo ed esclusivamente temi amorosi, in cui il rapporto tra uomo donna è quello cortigiano, ossia, la donna (il signore) e l'uomo (suo fedele).
Nei loro scritti la donna assume tutti i valori, mentre, l'uomo innamorato-vassallo proclama la propria indegnità e nullità. La poesia di Jacopo e della Scuola, di cui egli ne é l'elemento trainante, ha in se grossa retorica, ed è modellata sui motivi della lirica provenzale, codificando anche le strutture metriche della canzone aulica, della canzonetta popolaresca, del discorso e soprattutto del sonetto, di cui se ne attribuisce a lui l'invenzione.
Nella lingua in cui gli illustri della Scuola scrivono, si riscopre un siciliano colto depurato dagli elementi troppo municipalizzanti e idiomatici, che rappresentarono, invece, per i poeti siculo-toscani motivo d'esclusione da parte di Dante. Jacopo da Lentini, decanta l'amor cortese, alla sua donna, con grande originalità e creatività, utilizzando il sonetto con grande ingegno.
Nella sue liriche il Notaro, analizza l'amore come vicenda interiore, con grande acutezza psicologica, conservando in se un grande senso di prodigio. Di Jacopo, purtroppo si hanno poche notizie, la sua attività svolta all'interno della Magna Corte, oltre quella amministrativa, rappresentò per il Regno, un momento di rinascita culturale della Sicilia, tanto che per le successive generazioni, erano "degni" del magistero dell'arte poetica.
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