Gazzetta del Popolo
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Gazzetta del Popolo è stata un quotidiano italiano fondato a Torino il 16 giugno 1848. Ha cessato le pubblicazioni il 31 dicembre 1983, dopo 135 anni.
[modifica] Storia
Fu fondata dallo scrittore Felice Govean e dai medici Alessandro Borella e Giovanni Battista Bottero. La prima sede del giornale si trovava in Piazza IV marzo. Fu lanciata con un prezzo molto contenuto (5 centesimi la copia e 12 lire l'abbonamento annuale) per favorirne la diffusione presso la piccola borghesia istruita. Arrivò presto a 14.000 abbonati.
Fu diretta dal 1848 al 1861 da Govean e successivamente, per molti anni, da Bottero. Di orientamento liberale, monarchico e anticlericale, appoggiò la politica di Cavour e il programma risorgimentale di unificazione italiana. In seguito si oppose alla politica di Giovanni Giolitti e sostenne la Sinistra storica di Crispi.
Nel 1921 diede vita al supplemento illustrato L'illustrazione del popolo, sulla falsariga della Domenica del Corriere, che nel 1930 pubblicò per primo in Italia le strisce di Topolino.[1]
Nel 1945, dopo la fine della seconda guerra mondiale, cambiò provvisoriamente nome in Gazzetta d'Italia, per poi ritornare al nome iniziale.
Nel dopoguerra fu gestita dalla Democrazia Cristiana, alla quale faceva riferimento il direttore Giorgio Vecchiato, ma la redazione era fortemente sindacalizzata e mantenne un orientamento politico di sinistra (il polemista dell'Unità Fortebraccio la definì "forse in segreto filocomunista"). Tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta condusse alcune importanti inchieste sul lavoro minorile, sulle baronie mediche e sugli incidenti sul lavoro.
Mantenne una tiratura elevata per alcuni anni, fino a quando venne schiacciata dalla concorrenza della Stampa, di proprietà della Fiat.
Nel 1974 l'editore Alberto Caprotti ne decise la chiusura: per 14 mesi la testata fu retta da una cooperativa autogestita di giornalisti e lavoratori poligrafici. Nel 1975 la proprietà passò alla società Editor dell'editore milanese Lodovico Bevilacqua, che però non ne risollevò le sorti. Nel 1980 il deficit della testata si fece sempre più pesante e si decise di trasformarne il formato in tabloid, senza benefici.
Il 9 luglio 1981 il tribunale decise il fallimento della Editor. Il giornale fu pubblicato ancora per qualche settimana in gestione provvisoria, fino alla chiusura decisa dai giudici il 2 agosto. Le pubblicazioni ripresero provvisoriamente nel 1982, fino alla chiusura definitiva il 31 dicembre 1983.
La proprietà della testata, dopo vari passaggi, è passata nel 2004 mani dell'imprenditore e politico piemontese Vito Bonsignore.[2] Nel 2005 si è parlato di un possibile rilancio della testata,[3] ma non è accaduto nulla.
[modifica] Note
[modifica] Collegamenti esterni
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