Kottabos
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Il Kóttabos o Còttabo era un gioco ampiamente diffuso in nel mondo greco antico, uno degli intrattenimenti giocosi e meno intellettuali dei simposi.
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[modifica] Origine
L'origine del gioco viene fatta tradizionalmente risalire a un'area culturale non greca, anzi precisamente italica: gli scopritori del gioco sarebbero stati infatti i siculi, dai quali si sarebbe diffuso tra i coloni sicelioti per essere da questi rapidamente irradiato all'intera area culturale greca. Citazioni si ritrovano in Alceo e Anacreonte. Quest'ultimo ci fornisce la più antica attestazione letteraria, tanto del gioco che della sua origine geografica (fr. 41 Diehl). Ma sull'origine sicula si diffondono anche Crizia, che arriva a definirlo come la più grande invenzione dell'umanità, oltre che Callimaco e Dicearco.
La tradizione letteraria è corroborata dall'etimologia: kottabos è, probabilmente, la traslitterazione di un termine non greco guttus in cui la resa dell'occlusiva velare sonora [ɡ] per bocca dei siculi, doveva già apparire, alle orecchie dei parlanti greci, con pronuncia sorda [k].
[modifica] Svolgimento
L'intrattenimento consisteva in un gioco di abilità che poteva prendere sostanzialmente due forme.
[modifica] Kóttabos kataktós
Il gioco, nella sua forma classica e più complessa, consisteva essenzialmente nello scagliare le ultime gocce di vino (làtax o latàghe) rimaste nella coppa per colpire dei piattelli (plàstinghes) collocati su un'asta in bronzo (rhàbdos kottabikè) alta circa 1,8 metri.[1] A volte i piattelli erano posati in equilibrio precario e il successo consisteva nell'andare a segno con la goccia facendoli cadere gli uni sugli altri con un sonoro clangore.
L'apparato descrittoci da Antifonte prevedeva che sulla sommità di un'asta verticale di lunghezza variabile venisse apposto in bilico il piattello-bersaglio. A mezz'asta, mantenuto da una ghiera o da un anello scorrevole, stava un disco più grande (il mánes) a cui spettava il compito di ricevere fragorosamente il piattello caduto.
[modifica] Kóttabos en lekánei
L'altra forma prevedeva, quale bersaglio, dei piccoli vasi galleggianti in un vaso più grande: il successo arrideva chi riusciva a farne affondare il maggior numero colpendoli con il lancio del residuo libatorio.
[modifica] Il gesto
La kylix veniva appoggiata al polso con una presa imperniata sull'indice. La proiezione del liquido, da posizione quasi sdraiata sul fianco sinistro, era accompagnata da un calibrato gesto di lancio (ankilé) il cui successo doveva richiedere una notevole destrezza se Sofocle, non a caso, arriva a riferire come tra i siculi fossero in molti ad andar fieri più di un successo al kóttabos che di un riuscito lancio di giavellotto.
[modifica] Valenza erotica
Non si può dar loro torto visto che il gioco, oltre a conservare chiare tracce dei significati augurali e sacri attribuiti agli antichi riti del versare per terra il vino,[2] si connotava anche di una valenza erotica, non minore di quella del gesto atletico del lancio del giavellotto. Il gesto ludico infatti, oltre che da eleganti e precisi movimenti, era accompagnato dall'invocazione del nome della persona di cui si desideravano i favori. Callimaco nella sua Festa notturna scrive che al termine del gioco chi vince "dia un bacio a chi vuole degli ospiti, uomo o donna che sia".
[modifica] Note
- ^ Un esempio è visibile in questa immagine su Commons: Commons:Altes Museum - Antikensammlung 119.JPG. Una descrizione, in un contesto satirico, è nella Pace di Aristofane: con pochi ritocchi, una tromba da guerra è trasformata in supporto.
- ^ Ci si riferisce, ovviamente, a quelle forme aspersione rituale note come libagioni.
[modifica] Approfondimenti
- Santo Mazzarino. Kottabos siculo e siceliota, in Rendiconti Accademia dei Lincei, Classe di scienze morali, serie VI, 15, 1939, pp. 357 e segg.
[modifica] Altri progetti
Wikimedia Commons contiene file multimediali su Kottabos
[modifica] Collegamenti esterni
- Dal Perseus Project: un supporto per cottabo nelle mani di una menade