Flusso di coscienza
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Il flusso di coscienza (stream of consciousness in lingua inglese) è una tecnica utilizzata nella narrativa; consiste nella libera rappresentazione dei pensieri di una persona così come compaiono nella mente, prima di essere riorganizzati logicamente in frasi.
Il flusso di coscienza viene usato nei romanzi psicologici, ovvero in quei romanzi dove emerge in primo piano l'individuo, con i suoi conflitti interiori e, in generale, le sue emozioni e sentimenti, passioni e sensazioni.
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[modifica] Storia
Questo sotto-genere nasce dopo le pubblicazioni di Sigmund Freud sulla psicoanalisi, che propone i primi seri studi sull'inconscio. Il primo esempio nella letteratura è l'opera di Dorothy Richardson e May Sinclair [1], ma la sua notorietà si deve allo scrittore James Joyce. Influenzato dalle pubblicazioni di Freud, nel 1906 Joyce realizza il romanzo Gente di Dublino (Dubliners), nel quale si fondono realtà e mente, coscienza e inconscio: per fare ciò, utilizza la tecnica del monologo interiore diretto (direct interior monologue, in inglese), derivante dalla teoria del flusso di coscienza, per la prima volta nella storia della letteratura. Questa nuova poetica viene poi amplificata dallo stesso Joyce nella sua più celebre opera, Ulisse: viene di fatto eliminata ogni barriera tra la percezione reale delle cose e la rielaborazione mentale. La tecnica è portata alle estreme conseguenze in una delle sue ultime opere, Finnegans Wake, in cui la narrazione si svolge interamente all'interno di un sogno del protagonista: vengono abolite le normali norme della grammatica e dell'ortografia. Sparisce la punteggiatura, le parole si fondono tra loro cercando di riprodurre il confuso linguaggio onirico, ma riuscendo così assai oscure.
Altri scrittori che hanno usato questa tecnica sono Virginia Woolf e Italo Svevo.
[modifica] Voci correlate
[modifica] Fonti
- ^ Cfr. ad esempio questo sito
[modifica] Collegamenti esterni
- Osservazioni su Ulisse, il romanzo di James Joyce