Caso di Sciacca
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[modifica] Storia
Si tratta della rivalità di due potenti famiglie nobili siciliane ,i Perollo e i de Luna ,durata dal 1400 al 1529 con immani conseguenze.
[modifica] Il "primo Caso di Sciacca"
Il re Martino I di Sicilia figlio di Maria de Luna, stabilì di dare in moglie allo zio conte Artale Luna ,la figlia di Nicolò, Margherita Peralta, malgrado l'amore della giovane era per il coetaneo Giovanni Perollo. Le nozze vennero celebrate nel 1400 alla presenza del re.La guerra civile che si scatenò a Sciacca ebbe origine dalle controversie sorte tra la famiglia dei Perollo d'origine normanna e quella dei Luna d'origine catalana durante il regno di Alfonso V in Sicilia. Dopo le suddette nozze, la famiglia Perollo non sopportò la prepotenza del sovrano e scatenò un odio viscerale verso la nobiltà catalana e straniera alla quale il Luna apparteneva. A questo odio dei Perollo s’aggiunge quello di Bernardo Cabrera, conte di Modica, che avrebbe pure preteso di fare sposare Margherita al figlio, in modo da poter ancora di più ampliare il suo controllo territoriale. Deceduti Martino il Giovane e il padre Martino il Vecchio , in Sicilia gli abitanti aspiravano ad avere un loro re. Si erano intanto formati tre fazioni: una catalana capeggiata da Bernardo Cabrera, un'altra dalla regina Bianca, moglie di Martino il Giovane che il re aveva sposato dopo la morte di Maria, e un'altra ancora della nobiltà siciliana a cui aderivano molti Comuni che si erano ribellati alla regina. Il conte Luna seguiva la fazione di Cabrera, ma gli abitanti di Sciacca rimasero fedeli alla regina. Nel 1411 il Cabrera occupava la città, ma no il Castello Vecchio, difeso ad oltranza da Pietro Garro. Un intervento della regina liberò il castello e la città. Nel 1416, il prestigio della famiglia Peralta passò ad Antonio, il figlio del Luna, che ebbe dal re Alfonso la concessione della castellania di Sciacca. Dava cioè il massimo onore oltre il diritto di dimora nel Castello Vecchio.
Durante il periodo in cui regnò Alfonso V d'Aragona Sciacca, ancora una volta le rivalità tra le famiglie Luna e Perollo turbarono la sua prosperità. Tale rivalità, estesasi alla popolazione, culminò nella lite che i Luna e i Perollo ebbero per la rivendicazione della Baronia di San Bartolomeo. Nel 1448 l'intervento del viceré faceva concordare una pace tra le famiglie Luna e Petrollo, ma non passò molto tempo che fu violata. L'occasione s’ebbe nel 1459 quando Antonio Luna stava partecipando alla processione della Santa Spina di Cristo. Giunto dinanzi al palazzo dei Perollo, il Luna insultò il rivale pubblicamente, forse convinto che non venisse ascoltato vedendo le finestre chiuse. Le imposte s’aprirono improvvisamente e Pietro Perollo, barone di Pandolfina, raggiunse il corteo ferendo il rivale. I suoi uomini incendiarono le case dei Luna, portarono lo scompiglio tra i fedeli e si rifugiarono nel castello di Geraci. Dopo quest’atto terroristico, il viceré inviò a Sciacca il luogotenente del Maestro Giustiziere, Giacomo Costanzo, per istruire un processo e punire i fautori di questi fatti. Ritornato da Caltabellotta, Antonio Luna scatenò la sua vendetta, facendo assassinare familiari e parenti dei Perollo, distruggendo le loro case, e persino la città subì gravi danni. Il re Giovanni II, succeduto ad Alfonso V, per evitare nuove sciagure alla città, esiliò i Luna e i Perollo dal regno e confiscò tutti i loro beni. Con Ferdinando V di Castiglia Giacomo Perollo diveniva potente signore e otteneva la carica d'amministrare la giustizia e le attività del Comune. Diveniva anche deputato al Parlamento.
[modifica] Il "secondo Caso di Sciacca"
Ma gli odi non si erano assopiti e nel 1528 quando vennero uccisi sette componenti della banda di Marco Lucchesi, accanito nemico del Perollo, riesplosero le rivalità. Nel 1529, giungeva a Sciacca una squadra di galere barbaresche, al comando del corsaro Sinan Bassà, detto "il Giudeo", si presentò innalzando il segnale che indicava la presenza a bordo di un prigionero di riguardo da riscattare, il barone di Solunto. Il Sigismondo de Luna, conte di Caltabellotta Bivona e Sclafani, figlio di Giovanni, offrì per il riscatto una forte somma d'oro, che venne rifiutata. Giacomo Perollo, portolano di Sciacca, si recò invece in visita sulla galea corsara, facendosi precedere da ricchi doni e comportandosi forse con maggiore diplomazia, e ottenne la liberazione senza riscatto del barone e di altri dieci schiavi, e la promessa del corsaro di non compiere altre incursioni contro la città.
In seguito allo smacco subito e alla popolarità del rivale, il conte mise insieme un esercito d'un migliaio di uomini, cinse d'assedio ed entrò nel Castello Vecchio, dove Giacomo Perollo si barricò. Dopo aver trucidato altri membri della famiglia rivale, il conte assediò la rocca, nonostante le truppe inviate in aiuto del Perollo dal viceré Ettore Pignatelli. Il castello fu conquistato e le donne della famiglia Perollo che vi si erano rifugiate furono risparmiate da ogni oltraggio e scortate in un monastero, ma i difensori furono tutti uccisi. Giacomo Perollo, fuggito per un passaggio segreto, si era nascosto nella casa di un suo fedele, ma il suo nascondiglio fu rivelato da un traditore e venne ucciso dagli uomini del conte e il suo cadavere venne trascinato per le vie della città.
In seguito all'attacco del castello,I parenti del Perollo, ottennero un decreto con il quale il Luna veniva condannato a morte ed i suoi beni confiscati. Sigismondo de Luna fu dichiarato fellone e reo di lesa maestà e il suo castello fu assalito dalle truppe regie che ne trucidarono i difensori. Il conte tuttavia riuscì a fuggire a Roma, ponendosi sotto la protezione di papa Clemente VII, parente della moglie Aloisia Salviati Medici. Clemente VII chiese la grazia per il nipote Sigismondo a Carlo V durante la cerimonia dell'incoranazione di questi ma non ottenne risposta. In seguito al protrarsi dell'esilio il conte si suicidò nel Tevere.
[modifica] Bibliografia
- Savasta, Il famoso caso di Sciacca, 1843 Palermo [1]