Capaneo
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Capaneo è un eroe della mitologia greca, figlio di Ipponoo e di Laodice o Astinome, nipote di Megapente.
Secondo la tradizione greca, ripresa da Euripide ed Eschilo, fu fra i sette re che parteciparono all'assedio di Tebe per ridare il potere a Polinice (vedi i Sette contro Tebe). Viene descritto, oltre che come una persona possente, dotato di grande forza, come un superbo. La vicenda di Tebe lo vede primo nello scalare le mura della città e, dopo aver sfidato apertamente gli dei a contrastarlo, fulminato da Zeus. La sua sposa, Evadne, si gettò sul suo rogo.
Nella tragedia di Euripide Le Supplici, si fa cenno alla sua modestia e sobrietà di vita, pur dotato di molte ricchezze («Molto ricco egli fu; ma non mai gonfio / di sue ricchezze, né superbo più / d'un poverello», «Il ben, soleva dire ei, non consiste / nell'impinzare l'epa; e il poco basta»).
Nella Tebaide di Stazio, il poeta latino lo descrive nell'atto di sfidare Bacco ed Ercole, protettore dei tebani, ed esorta Zeus ad accorrere con tutte le sue forze, anziché limitarsi a spaventare le fanciulle con i suoi tuoni, venendo quindi poi fermato con il fulmine del dio (X, 897, ss.). Gli attribuisce anche frasi come: «il coraggio è il mio dio...» (III, 615), «La paura primamente creò nel mondo gli dei» (III, 661).
Considerato prototipo di uomo che ha troppa fiducia in sé, venne da Dante nella Divina Commedia rappresentato nell'Inferno, fra i violenti contro Dio (Inf. XIV, 43-72).
[modifica] Altri progetti
Wikimedia Commons contiene file multimediali su Capaneo
Portale Mitologia greca: accedi alle voci di Wikipedia che parlano di mitologia greca