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Geno Pampaloni - Wikipedia

Geno Pampaloni

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Geno Pampaloni (Roma25 novembre 1918) è un giornalista e scrittore italiano.

[modifica] Biografia

Di genitori toscani (il padre, Agenore, da cui il suo nome “Geno”, era un grossista di olii che esercitava la sua attività a Grosseto) visse a Grosseto dal 1924 al 1939, diplomandosi al liceo classico. Successivamente studiò Lettere a Firenze (con Momigliano) e a Pisa dove si laureò nel 1943 con una tesi su Gabriele D’Annunzio. Partecipò alla guerra come ufficiale dell’esercito nel corpo di occupazione italiano in Corsica; dopo l’armistizio fece parte del corpo italiano di liberazione (aprile-novembre 1944), partecipando alla campagna di liberazione dall’Abruzzo fino alla linea Gotica. Nell’inverno 1944-45 lavorò a Roma al Ministero per l’Italia occupata. Finita la guerra, riprese l’attività giornalistica, che era iniziata a Grosseto presso “Il Telegrafo”. Nell’estate del 1945 si trasferì a Milano dove lavorò come redattore per “Italia Libera”, quotidiano del Partito d’Azione. Chiuso il giornale per lo scioglimento del Partito, Pampaloni insegnò per due anni in una scuola di avviamento professionale a Borgosesia (Vercelli). In questo periodo (autunno 1946-48) iniziò anche la sua attività di critico letterario, collaborando al “Ponte” e a “Belfagor”. Nel novembre 1948 venne chiamato da Adriano Olivetti a dirigere la Biblioteca di fabbrica a Ivrea (Torino). Ben presto divenne uno dei suoi più stretti collaboratori, diresse il Centro culturale Olivetti e i Servizi culturali; ricoprì il ruolo di segretario generale del Movimento Comunità, collaborando alla rivista “Comunità”. Nel periodo 1957-58 fu direttore del settimanale “La via del Piemonte”. Su questo periodo della sua vita curiosi aneddoti circolano su Pampaloni: “Eminenza ligia” di Adriano Olivetti (secondo il modo di dire coniato da Egidio Bonfante); la sua figura a capo dell’Ufficio di Presidenza era così carismatica che “Olivetti S.p.a.” diventa “Se Pampaloni Acconsente”. Nel 1953 inizio a dirigere l’Enciclopedia AZ Panorama insieme con Giovanni Enriques ed Edoardo Macorini. Dal 1955 al 1957 proseguì la sua attività di critico letterario all’”Espresso”. Nel ’58, in seguito alle elezioni politiche, fu licenziato dalla Olivetti, visto che anche lo stesso presidente ne era stato allontanato. Venne a Roma (dal 1959 al 1962), dove diresse un ente di edilizia popolare e servizio sociale. Dimessosi, tornò all’attività letteraria, collaborando sull’”Epoca” e diventando consulente della RAI per i programmi culturali (come “Conversazioni con i poeti” del secondo canale). Nel 1962 è a Firenze a dirigere la casa editrice Vallecchi, dove curò autori come Landolfi, Silone, Ortese, Fiore, Balducci. Nel 1967 iniziò a collaborare con il “Corriere della Sera”, in cui si intensificava la sua attività di critico (autore di saggi e prefazioni di Alvaro, Brancati, Cecchi, Noventa, Pavese, Svevo, Vittorini). Dopo dieci anni di intenso lavoro, Pampaloni lasciò la Vallecchi per dirigere l’ Edipem , casa editrice, rientrante nel gruppo De Agostini, da lui stesso fondata. Anche dopo il pensionamento, nel 1982, continuò sempre a collaborarvi. Per la De Agostini, nel 1988, curò e commentò un’edizione dei Promessi Sposi per le scuole medie. Dal 1974 al 1993 fu critico letterario del “Giornale” del suo amico Indro Montanelli, che avrebbe seguito anche alla “Voce” . Durante questo periodo collaborò anche con altri quotidiani e riviste, come il “Tempo” e “Millelibri”. Nel 1985 fu, per alcuni mesi, direttore del Gabinetto Vieusseux. Durante gli anni novanta collaborò alla “Stampa” e alla “Nazione”. Il 19 febbraio 1999 gli fu dedicata una giornata di festeggiamenti in occasione degli ottant’anni a Palazzo Vecchio a Firenze. Il 17 gennaio 2001 morì all’ospedale di Ponte a Niccheri.

[modifica] Attività critica

L’attività critica di Pampaloni ricopre l’arco di cinquant’anni del secolo scorso: già prima della guerra collaborò con il “Telegrafo” di Grosseto, ma solo nel ’47, sulla rivista fiorentina “Ponte”, cominciarono ad uscire i suoi primi scritti di critica letteraria. Iniziava così una carriera di critico militante (o “critico testimone” come si autodefinì) che avrebbe attraversato il Novecento con tutti gli avvenimenti letterari più importanti del dopoguerra. Sotto la sua penna passarono scrittori come Montale, Soldati, Moravia, Parise, Landolfi, Bassani, Pasolini, Cassola, Morante, Zanzotto, Gadda, Calvino, Orwell, solo per citare i più importanti; inoltre fu protagonista di interventi puntuali ed illuminanti su alcune delle vicende più discusse del panorama critico del ventesimo secolo come la pubblicazione di Metello di Pratolini e del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (vero e proprio caso letterario), per arrivare fino al postumo Petrolio di Pasolini; e ancora le opere di saggistica su Pancrazi, Debenedetti, Cecchi, Garboli. Come si può notare si è di fronte a tutto ciò che di importante ha riguardato la maggior parte della letteratura italiana novecentesca, uno “scenario, credo, per molto tempo irripetibile” come lo stesso Pampaloni lo definì in un’intervista. Quindi, come già detto, “critico-testimone” o anche critico “giornaliero”, rimanendo sempre distante da una critica accademica ritenendo gli “elzeviri la sua cattedra”. Da qui la sua scelta di non raccogliere la sua incommensurabile opera critica, dispersa nella maggior parte in quotidiani, periodici e riviste culturali, in un unico libro per non togliere ai propri articoli “la funzione, e in certi casi, (o mi illudo) il valore, di cronaca vagliata da una lunga e appassionata esperienza”. L’unica raccolta che curò fu il libro Trent’anni con Cesare Pavese. Diario contro diario, insieme di articoli sullo scrittore piemontese; inoltre molti studiosi ritengono un libro a sé stante il capitolo, contenuto nel volume della Garzanti Il Novecento (curato da Cecchi e Spegno), intitolato Modelli ed esperienze della prosa contemporanea, ritenuto la summa del lavoro critico pampaloniano. Rileggendo gli articoli pubblicati nel corso degli anni da Pampaloni si scopre un modo di fare critica inusuale o, parola a lui cara, “inattuale” e per lo più rimasto inalterato nel tempo: in anni in cui la critica cominciava ad ibridarsi con vari “ismi” (uno su tutti il marxismo con le teorie di Lukàcs) e con le “nuove” scienze come la semiologia e la psicoanalisi, Pampaloni seppe ritagliarsi un posto a parte rimanendo al di fuori dei vari schematismi sorti nell’immediato dopoguerra. Il tratto caratterizzante, che lo allontana dalla maggior parte della restante critica del dopoguerra, fu il recupero di uno strumento, definito desueto dalla nuova critica, appartenente alla “vecchia scuola”: il giudizio di valore. Arma implacabile della critica di Croce (“Leggo alcune delle più celebrate poesie di Giovanni Pascoli, e ne provo una strana impressione. Mi piacciono? Mi spiacciono? Sì, no: non so”) Pampaloni si avvicina più direttamente al giudizio di Pancrazi, suo dichiarato maestro, meno affilato e più attento a non compromettere il lettore; in un intervista a G. Cerchi affermò:” non amo le stroncature, nelle quali il critico vuol dimostrare di essere più bravo dello scrittore”. Così, in un saggio del 1953, Pancrazi critico-scrittore, scrive in merito al giudizio di valore: “Era, anche, troppo onesto e diritto per esimersi, nelle sue pagine, dal giudizio: e anzi, i giudizi aprono spesso le sue recensioni, netti, chiarissimi: giustificati poi con finezza e misura”. Proprio Pietro Pancrazi viene ripreso come modello dal giovane Pampaloni, insieme alla consuetudine di iniziare i propri saggi critici con un giudizio estetico preciso, ma non solo. Viste oggi potrebbero essere usate per definire il modo di fare critica pampaloniano queste stesse parole: “Passò attraverso i labirinti letterari contemporanei senza mai smarrirsi, senza concedere molto di sé, parlando e pensando sempre in persona prima: e scrivendo sempre di uomini, mai di tendenze; ritratti, mai teorie; giudicando di poesia e d’arte, raramente di poetiche, di estetica mai o quasi. E di più, anche questo suo modo personalissimo non fu mai polemico, ma sempre naturalmente implicito, garbato, talvolta accennato per ironia, mai espresso in sistema.” L’analisi critica di Pampaloni si basa proprio sul ritratto. Dopo l’enunciazione del giudizio di valore si passa all’analisi dell’uomo-scrittore; il libro viene preso come spunto, “occasione” (parola ereditata da Montale e ripresa felicemente da Pampaloni in più occasioni) per risalire dal testo al personaggio, cercando di capire le ragioni che lo hanno portato a scrivere quel libro e solo quello. Tutto sempre con una chiarezza di prosa che rivela l’assoluta attenzione al lettore, essendo Pampaloni per primo lettore per professione, rispecchiata anche nell’accuratezza della scelta delle citazioni, “arte in cui Croce e anche Pancrazi restano ancora maestri” e ritenendo che il compito essenziale del critico è quello di “chiarirsi e chiarire di che si tratta” e mettere “il lettore nella condizione di giudicare egli stesso se l’interpretazione è convincente o arbitrariamente personale”. Il saggio o recensione, così, trascende dal mero ruolo di analisi di un libro e diventa una sorta di antologia dello scrittore e non si ferma lì: Pampaloni partendo dal testo arriva all’uomo, dall’uomo arriva al movimento culturale, da qui alla società, per poi ritornare allo scrittore, in un continuo evolversi di considerazioni, citazioni, aneddoti, pensieri mai banali, ma, anzi, sempre limpidi e mai fuori luogo. Capita così in un saggio su Alvaro di trovarci di fronte a riflessioni su Verga ed il verismo; parlando di Vittorini arrivare all’ermetismo; mettere insieme Brancati e Pirandello. Tutto questo tenuto insieme da una prosa leggera e gradevole, mai pesante, in cui l’analisi critica prende la forma di racconto. È per questo che oggi possiamo collocare Geno Pampaloni nella categoria dei critici-scrittori insieme a grandi maestri come Serra, Cecchi, Montale, Solmi, Garboli, Citati.

[modifica] Opere

  • Geno Pampaloni, Il critico giornaliero. Scritti militanti di letteratura 1948-1993, Torino, Bollati Boringhieri, (2001)
  • Geno Pampaloni, Giotto ad Assisi, (1998)
  • Geno Pampaloni, Bonus malus, Genova, il melangolo, (1994)
  • Geno Pampaloni, Fedele alle amicizie, Milano, Farzanti, (1992)
  • Geno Pampaloni, Cesare Pavese (1982)
  • Geno Pampaloni, Adriano Olivetti: un'idea di democrazia, Milano, Edizioni di comunità, (1980)
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